giorgio levi

Giornaliste vittime dell’hate speech: +73% nel 2020. Una ricerca Unesco

(foto Andrea Piacquadio da Pexels)

Mettendo da parte l’odiosa melensaggine del mazzo di mimose, l’inutile dibattito generato dalla genuina, ma ingenua, dichiarazione della direttrice o direttore d’orchestra (come lei preferisce) Beatrice Venezi al Festival di Sanremo, non tenendo conto di ogni stereotipo sull’8 Marzo, ho trovato interessante questa ricerca dell’Unesco concentrata sull’hate speech (linguaggio d’odio sessista) nei confronti delle giornaliste. Nel 2020 questo genere di violenza online ha registrato un impressionante +73%. Un risultato che arriva da questo sondaggio voluto dall’ Unesco.

Riporto qui alcune considerazioni pubblicate oggi da Lab Parlamento, quotidiano che si occupa di analisi di scenari politici.

A quel +73% va aggiunto un 20% di giornaliste che denunciano attacchi anche offline. Dallo studio emerge che spesso gli attacchi d’odio online sono legati a doppio filo alla disinformazione: il 41% delle intervistate hanno dichiarato di essere state prese di mira da attacchi che sembravano essere collegati a campagne organizzate di disinformazione dirette a screditare le giornaliste nell’esercizio del proprio lavoro.

Nel contesto italiano la rilevazione sull’odio online prodotta dall’Osservatorio Vox Diritti nell’autunno 2020, basata sull’analisi di oltre 1.3 milioni di tweet, rivela che in rete un odiatore su due se la prende con le donne e che accanto al tradizionale body shaming ha fatto la sua comparsa la rabbia verso le donne che lavorano, giudicate incompetenti, inutili e incapaci, a prescindere da ciò che fanno o dicono.

Dall’esame delle mappe dell’intolleranza appare che i picchi di odio verso le donne sono legati ad eventi quali femminicidi di particolare impatto mediatico o decisioni significative nel contesto italiano o europeo. In generale nella manosfera (l’agglomerato di movimenti misogini che operano sul web, impregnato di violenza e retorica antifemminista) gli uomini stanno diventando più aggressivi ed estremisti e si ritrovano sui social network con meno restrizioni per organizzare vere e proprie campagne d’odio.

Scrive Lab Parlamento: “Il momento è arrivato perché nelle istituzioni, nelle redazioni online e offline, nei social network, si affronti problema. Il linguaggio d’odio sessista è un fenomeno quotidiano per molte donne; per contrastarlo non bastano iniziative legali, sono necessarie azioni positive di contrasto agli stereotipi di genere, che si preoccupino anche del linguaggio quotidiano. Sul fronte legale importante la proposta per il Digital Services Act del Parlamento Europeo e del Consiglio, che per la prima volta suggerisce di approfondire i rischi sistemici associati all’incitamento all’odio, in particolare quando l’accesso ai contenuti di odio possa essere amplificato da account con una portata particolarmente ampia. Speriamo facciano in fretta ad approvarlo”.

Credits

Lab Parlamento

Unesco

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