
Marco Travaglio può non piacere. Anzi, ha orde di odiatori seriali. Da tastiera, naturalmente. Ma ha un pregio, peraltro ignorato dai denigratori, che presi dalla loro cieca esuberanza accusatrice, non valutano un aspetto fondamentale per chi svolge questa professione. E cioè la capacità di scrittura, di sapersi esprimere, di sviluppare concetti che anche un criceto capirebbe. Un aspetto tutt’altro che comune nel giornalismo, dove moltissimi si esibiscono in elucubrazioni (soprattutto in politica) senza capo nè coda. Travaglio ha quella che si chiama capacità di sintesi, un pregio fondamentale per chi scrive, un capitolo del mestiere che dovrebbero insegnare nelle scuole di giornalismo. Dovrebbero, perché spesso confondono la bravura nello scrivere testi brevi, irrinunciabili nella perversa logica dei social, con la sintesi.
Travaglio appartiene ad una vecchia scuola, ma finché la nuova non sarà all’altezza della capacità di scrittura immagazzinata in anni di lavoro preferisco tenermi Travaglio. Che ha un unico, visibile difetto. L’aspetto fisico, l’espressione sprezzante. Al confronto persino Sallusti e Feltri sembrano simpatici. Tuttavia, questo non appartiene alla professione ma allo smisurato ego al quale nessuno del Barnum mediatico, non solo lui, sembra rinunciare. La dimostrazione è che più Travaglio compare in televisione, più sta sul culo alla gente quando sorride mellifluo, più Il Fatto Quotidiano vende. Una ragione, magari del genere sadomasochista, ci deve essere.
Oggi Travaglio velonoso quanto basta sul Fatto ha scritto un fondo per accusare la stampa italiana di condiscendenza cieca su tutto quello che fa il nuovo primo ministro Mario Draghi. E a proposito del fatto che Draghi non abbia illustrato il Dpcm scrive: “Non vuole spiegarlo a voce? Scriva un comunicato. Ma la stampa non vuole. Il silenzio del premier, per Il Giornale è un po’ come il grande Gatsby, che non partecipava mai alle feste, limitandosi a vigilare sul fatto che tutto fosse impeccabile. Per Il Foglio Draghi sa scomparire e offre la scena ai ministri, ma non per scaricabarile: delega e si fida. Per Il Messaggero Draghi pare che taccia, ma parla con quei silenzi eloquenti che migliorano la politica“.
Sul tema dei ristori Travaglio mette nel mirino un po’ tutti i colleghi giornalisti. E cita: “Il ministro Franco sta escogitando una nuova piattaforma presso Sogei. La Stampa, però, già li vede: Draghi: 12 miliardi di sostegni“. Poi nei condiscendenti forzati ci sono anche La Repubblica e Il Corriere della Sera, da Stefano Folli al caporale Merlo, a Franco Di Bella.
A proposito del Corriere scrive Travaglio: “Dopo il terremoto in Irpinia il Corriere di Franco Di Bella iniziò a reclamare la militarizzazione dell’emergenza, fortunatamente inascoltato dal governo Forlani, che nominò commissario Zamberletti. Quattro mesi dopo si scoprì che Di Bella e il Corriere erano della P2. Altri tempi, ma questo festoso tinitinnar di scabole e penne fa comunque riflettere”.
Il resto lo potete leggere su Il Fatto Quotidiano di oggi. Perché i giornali si comprano e non si leggono a sbafo.
Lo compro e lo leggo. E lo considero uno dei migliori giornalisti italiani. Forse anche il più antipatico (infatti in TV lo evito. Del resto evito la TV dove il giornalismo si è praticamente estinto). Non è esente da scalfarismo cesarista, ma nessuno è perfetto. In compenso si è costruito un archivio che in confronto quello dell’ANSA impallidisce. Soprattutto ne fa uso. Invece gli altri giornali – vedi La Stampa e se non sbaglio Il Messaggero – gli archivi li buttano.
Donatella, no l’archivio storico de La Stampa, per il quale era necessaro trovare una nuova tecnologia, è di nuovo online dal 15 febbraio, consultabile liberamente.