Fino a ieri sera ero convinto che si chiamasse ancora Festival dell’Unità. Invece, pare da parecchi anni, si chiama Festa dell’Unità. Cambia qualcosa? No. Ma festival era più romantico. Qui a Torino il Pd lo ha organizzato in un postaccio a ridosso di un cavalcavia che le ruspe stanno abbattendo. Uno spicchio di un giardino. Fino alle 18 si può anche ballare il liscio. Poi c’è lo spazio pizzeria e una trattoria vecchio stile Pci, con i suoi tavolacci di legno, le panche, la cucina da campo e un menù che credo si tramandino da generezioni. E’ identico a quello dell’ultima volta che ero stato ad un Festival dell’Unità, più di vent’anni fa.
Comunque. Bravi i volontari che assolvono al loro compito di compagni gentili e premurosi. Per quanto non sia un gourmet il misto griglia (il classico tris costine, pollo, salsiccia) era di buona qualità e pure le verdure grigliate. Certo, qui è tutto molto ridotto. L’area è quella che è, chiusa da un muro di Berlino che mette un po’ tristezza. Ma i tempi sono questi.
Ad ogni buon conto non ero qui per mangiare. Ma invitato ad un dibattito dal titolo amarcord “L’Unità e l’informazione a Torino”. L’Unità non c’è più, il giornale è chiuso, i redattori sono a spasso, in tribunale litigano per i brandelli di quella che è stata una pietra miliare del giornalismo italiano.
Autorevolissimi i compagni di dibattito: Battista Gardoncini (Rai), Salvatore Tropea (La Repubblica), Alberto Riccadonna (La Voce e il Tempo), introdotti da Michele Ruggiero (Rai). Una cavalcata sul passato del giornalismo torinese, molti ricordi, le ragioni di un successo dell’informazione cittadina, che nell’immediato dopoguerra contava 12 quotidiani. Tutti d’accordo che il mondo è cambiato, la rete è stata inarrestabile, i lettori non ci sono più. E quelli che s’informano si bevono come oro colato le panzane che Grillo scrive sul suo blog. Durissimo rispondere alla domanda delle 100 pistole: sarebbe possibile oggi lanciare un giornale politico di sinistra, tipo l’Unità?
Mi sono guardato un po’ intorno, mentre scendevano le brume della sera e le zanzare si alzavano in volo in stormi ben compatti. Un buon pubblico, moltissime teste bianche, rarissimi i giovani, vecchi militanti, politici di passaggio, la mostra di Che Guevara con sigari in vendita che arrivavano direttamente da Cuba, che dire? Mi faccio carico solo della mia risposta. Un giornale di sinistra può rinascere, ma prima deve nascere e svilupparsi l’idea politica su cui si pensa di fondare la sinistra del futuro. Qui siamo all’era zero. Con un Pd in caduta libera, non ci saranno giornali, nè online, nè di carta. Perché senza lettori non si va da nessuna parte.
Una cosa però che non costa nulla, ed è un piccolo gesto di ottimismo, la possiamo fare: resistere, resistere, resistere.