
Alberto Mattioli è un bravo giornalista de La Stampa. Scrive benissimo e i suoi pezzi sono sempre di piacevole lettura. L’altro giorno, nel dettaglio di un articolo, ha riportato una frase molto sgradevole nei confronti dell’onorevole Giorgia Meloni. Forse voleva essere una battuta di spirito, ma come sempre accade quando vuoi far sorridere e il contesto non è quello giusto, è venuta fuori una vaccata, del tutto fuori luogo.
Mattioli si è scusato prontamente con la signora Meloni, il suo compagno e soprattutto con la figlia Ginevra. E con i lettori. Il suo profilo su Facebook è stato inondato da un furioso shitstorm, una autentica tempesta di merda virtuale. Qualche centinaio di commenti, alcuni solidali con lui, la maggior parte insultanti, provocatori, violenti nelle parole e nelle minacce. Moltissimi i troll, per altro facilmente individuabili. Si sa che è così. Questi sono i tempi dove minacciare una persona, nascosti da una tastiera, è quanto di più comune possa accadere. Violando norme di legge che esistono e andrebbero rispettate anche sui social. Mattioli ci è finito in mezzo, ha aperto l’ombrello delle scuse, ma si è sfasciato contro la tempesta.

Allo shitstorm mediatico si è aggiunta l’indignazione giustificata della destra politica e quella un po’ meno plausibile dell’innocente Giornale che ha gettato altra benzina sul fuoco. E forse di altri giornali che non visto. Ma quello che stupisce sono le scuse del direttore de La Stampa Massimo Giannini: “Il nostro Alberto Mattioli usa parole inappropriate in un passaggio su sua (di Meloni, ndr) figlia Ginevra. Ce ne scusiamo con la leader di Fdl, non è il nostro stile”. Ma lo stile non dovrebbe corrispondere alla linea del giornale?
E allora torniamo al punto crititico già affrontato qui sul caso Augias: come funziona la macchina dei giornali? Chi legge che cosa? Se Mattioli commette un grossolano errore, fa un’affermazione grave, non dovrebbe essere difficile notarla. E’ sempre stato così. Ah certo, a forza di tagliare i costi superflui ti sfugge di mano anche il giornale.
Ad ogni buon conto credo che un direttore non dovrebbe mai dire, di fronte ad un errore tanto evidente di un suo giornalista, non è il nostro stile . Così lo mette in difficoltà. E lo lascia solo nella tempesta.