
Marina Macelloni, presidente Inpgi
Insomma, alla fine è andata come ormai era chiarissimo dovesse andare. Il decreto legge “Crescita” n. 34 del 30 aprile 2019 è entrato in vigore ieri 1° maggio 2019 e non si fa cenno in alcuna parte alla possibilità che l’Inpgi possa portare all’interno dell’istituto di previdenza gli oltre 13 mila comunicatori. Un numero sufficiente di nuovi iscritti a rimettere in sesto le disgraziatissime casse previdenziali dei giornalisti. Forse non sufficienti a risanare il bilancio, ma abbastanza consistenti a migliorare i conti e a far pensare a progetti futuri di risanamento.
Com’è noto la vicenda ha visto contrapposti un gruppo di senatori leghisti, che avevano inserito nel decreto una voce a sostegno del progetto Inpgi, e il M5S che si è sempre opposto. A cominciare dal presidente della Camera Fico.
Che cosa accadrà adesso? Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon (Lega, tra i primi sostenitori del provvedimento pro Inpgi) ha ribadito che la norma serve non solo a evitare il commissariamento dell’Istituto, ma anche a dargli una prospettiva concreta. Dunque, la Lega tornerà alla carica proponendo un emendamento. Tutto sta però a vedere quale sarà la risposta del M5S.
Il clima di conflittualità all’interno del governo non induce all’ottimismo. A questo si aggiunga che sono in corso qui i tanto decantati Stati Generali dell’Editoria e dell’Informazione voluti dal sottosgeretario Vito Crimi (M5S) che nel lungo calendario d’incontri (28 maggio – 4 luglio) non ha inserito nei tavoli di discussione il tema Inpgi. Secondo quanto dichiarato a suo tempo dallo stesso Crimi la situazione Inpgi merita un confronto a parte. Ma quando? Se sarà a settembre, al termine di tutti i lavori, sarà troppo tardi. Mentre è molto più urgente confrontarsi prima. Sempre che il M5S apra ad un emendamento.
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