E’ andata bene, molto bene. E molto meglio di quanto ciascuno di noi si potesse aspettare. Al flash mob di Giù le Mani dall’Informazione la partecipazione è stata migliore di ogni previsione. Tutti sappiamo quanto i giornalisti sono divisi, incazzosi, gelosi. Ma questa volta questa linea di confine l’abbiamo superata, nell’interesse non di una firma su un giornale, di uno scoop o di un contratto di lavoro. C’eravamo davvero, per un bene supremo, che è quello della libertà d’informazione. Perché a farci dare delle puttane e degli sciacalli da soggetti della politica e del governo, che non hanno alcun titolo per farlo, non ci siamo mai stati, nè ieri, nè oggi e nemmeno domani. Lo sappiano Di Maio o Di Battista, o chiunque altro, quando torneranno ad insultare questa categoria di lavoratori. E allora vale pena riportare qualche considerazione.
- In piazza Castello a Torino non c’è stata certo un’adunata oceanica. Ma nessuno l’aveva mia nemmeno pensata. A mezzogiorno di un giorno feriale, tra le transenne di un cantiere, il colpo d’occhio era però assai confortante.
- Per la prima volta, non so da quanti anni, c’erano colleghi che non mi sarei mai immaginato di vedere insieme sulla stessa piazza per la medesima battaglia. Chi non è venuto ha sbagliato, i mugugni non servono più, ognuno si deve assumere moralmente delle responsabilità. E questo si può fare stando uniti, anche su una piazza in un giorno di lavoro.
- Molti giornalisti anziani, tanti i giovani. Mi aspettavo la solita parata di pantere grigie. Invece c’erano anche ragazzi e ragazze. Alcuni alle prime armi della professione, i freelance, i sottopagati.
- Pochi discorsi, una forte e solidale unione di categoria. Perché è così che si giocherà questa insensata battaglia politica.
- Mi sarei aspettato un rappresentate degli editori, non c’era. Peccato, occasione persa. Un’altra volta. Dovremmo stare tutti nella stessa squadra. C’è in gioco l’indipendenza e la libertà d’informazione, dovrebbe interessare anche a chi fa impresa. Capoccioni erano, capoccioni sono rimasti.
- Favorevoli e contrari all’Ordine dei giornalisti, uomini e donne dalle idee politiche più svariate, critici con il sindacato, ognuo con i suoi rovelli di sempre. Ma per una volta insieme in perfetto stile sabaudo.
- Tutti noi vorremmo che l’avvocato Bruno Segre vivesse ancora altri 100 anni, oltre a quelli che già ha. Quando ha preso il megafono è come se una luce si fosse accesa nel buio della notte. Lui partigiano, combattente, prigioniero, in prima linea per decenni nella lotta ai diritti civili, prima tra tutte quella per il divorzio. Bruno c’era, lucido, pieno di energia, solidale anche con questa battaglia. Devo ancora spiegarmi perché mi commuovo tutte le volte. Ma non ero l’unico oggi.
Dunque, c’eravamo, ci siamo e ci saremo. Quello di oggi era il nostro il biglietto da visita. In questa professione le intrusioni non sono ammesse, nessuno può dirci come si fa un giornale.
Magari saremo anche puttane, e ce ne sono molte, ma non sarà una classe politica di dilettanti sguaiati a giudicarci.