Il primo fu certamente Luigi Einaudi, secondo presidente della Repubblica (1948-1955), come scrive oggi una nota dell’Agi. Ancora prima che venisse costituito l’Ordine dei giornalisti (legge del 1963) scrisse: “Albi di giornalisti! Idea da pedanti, da falsi professori, da giornalisti mancati, da gente vogliosa di impedire altrui di pensare colla propria testa”. Einaudi era convinto che “giornalisti sono tutti coloro che hanno qualcosa da dire o che semplicemente sentono di poter dire meglio o presentar meglio la stessa idea che gli altri dicono o presentano male…Giudice della dignità o indegnità del giornalista non può essere il giornalista, neppure se eletto membro del consiglio dell’ordine od altrimenti chiamato a dar sentenza sui colleghi”. Da notare il fatto che nei passaggi citati di questa lettera non ci sia mai alcun accenno alla veridicità dei fatti (Il buongoverno, Laterza 1973, Vol. II pagg. 627-629, dalla lettera pubblicata da Il Fatto quotidiano).
Da lì in poi è tutta una cavalcata di esponenti politici che si schierano contro l’Ordine. Battaglie durissime, senza mai che si concludessero. Il primo partito a condurne una è quello Repubblicano, guidato allora da Ugo La Malfa. Tre parlamentari, tutti giornalisti, professionisti o pubblicisti, nel 1973 chiesero l’immediata abrogazione della legge approvata qualche anno prima (Linkiesta). La loro proposta però non venne approvata in Parlamento.
Ma già in questi anni comincia a cavalcare questa battaglia un altro partito, che la porterà avanti per altri 20 anni almeno: I radicali. “Nel 1974 iniziarono una forma di disobbedienza civile, sostituendo i direttori dei giornali di partito con persone non iscritte all’albo, violando così un articolo della stessa legge 69” (Lettera43). Marco Pannella, convinto oppositore degli ordini professionali, in particolare si scaglio più volte contro quello dei giornalisti. Da parlamentare, insieme a Francesco Rutelli, propose di sostituire l’albo obbligatorio con una carta d’identità professionale sul modello francese (Linkiesta).
Nel 1992 l’idea fu mutuata e rilanciata dal deputato del Movimento Sociale Italiano Pinuccio Tatarella. Cinque anni dopo la proposta diventò uno dei sette quesiti del referendum abrogativo voluto dai Radicali. A mettere la firma a questo referendum fu anche Silvio Berlusconi. Sulla scheda c’era scritto:
Volete voi che sia abrogata la legge 3 febbraio 1963, n. 69, nel testo risultante dalle modificazioni apportate dalle leggi 20 ottobre 1964 n. 1039 e 10 giugno 1969 n. 308 e dalle sentenze della Corte costituzionale n. 11 e n. 98 del 1968, recante “Ordinamento della professione di giornalista?
Votarono a favore il 65% degli italiani, ma non se ne fece nulla perché il referendum non raggiunse il quorum necessario. Anche Massimo D’Alema si sciherò: “Ho votato per l’abrogazione dell’ Ordine dei giornalisti insieme a 14 milioni di cittadini”.
In seguito Forza Italia tornò di nuovo con la Lega a marciare compatta verso l’obiettivo, che finì in un nulla perché da lì a poco Berlusconi dovette dimettersi.
Perciò Di Maio e Grillo si rassegnino, non lo aboliranno nemmeno loro l’Ordine dei giornalisti.
Credits