Così siamo arrivati dov’era facilmente prevedibile da almeno un paio d’anni. Al capitolo “formazione” l’Odg nazionale avrebbe pronto un taglio ai contributi che Roma versa nelle casse degli ordini regionali, per la programmazione a livello locale della formazione, tra il 20 e il 30 per cento. Vale a dire (nell’ipotesi peggiore) per il Piemonte, che portava a casa circa 29 mila euro all’anno, più o meno 8.700 euro. Sul tappeto, fino a dicembre dello scorso anno, c’era anche l’annullamento totale del contributo. Ognuno si arrangi. Poi c’è stato questo aggiustamento, qualcosina vi diamo poi vedete voi. In termini pratici significa un taglio netto al calendario degli eventi. Un ordine regionale come il nostro non può pensare di pagarsi sale conferenze, addetti vari, speaker più o meno onerosi. E anche a quelli che accettano di formare i colleghi gratuitamente (in genere sono i docenti-giornalisti) bisogna comunque pagare le spese di viaggio ed eventuale soggiorno.
Roma s’intasca già una quota significativa sugli introiti annui delle tessere, a noi resta una percentuale appena sufficiente a pagarci le spese correnti. Considerato che tutti i consiglieri (ordine e disciplina) lavorano a titolo gratuito. Corsi di formazione a nostro carico sarebbero inimmaginabili. Ora questo taglio del 20/30% impone una revisione degli appuntamenti, a cui spero metteremo mano appena sarà confermato. In ogni caso io nel mio ruolo di tesoriere non accetterò spese che vadano oltre 1 euro sul contributo al quale avremo diritto.
L’Ordine del Piemonte in quasi tre anni è sempre rimasto sotto la soglia del contributo romano, ci sono regioni dove la spesa per i corsi è il doppio e anche il triplo di quella a cui avrebbero diritto gli ordini locali. Così, in moltissime regioni si auto finanziano facendo pagare a chi li frequenta i corsi stessi (dai 100 ai 300 euro a evento). Come in Lombardia, con il risultato che molti colleghi salgono su Italo, vengono qui al mattino e al pomeriggio sono di nuovo in redazione. Com’è noto il nostro consiglio ha deliberato che nessuno debba sborsare un euro, almeno ancora per quest’anno. Poi, per quanto ne penso, qualcosa dovrà cambiare.
In compenso con il nuovo regolamento (già votato ma non ancora operativo, lo sarà a fine mese) i corsi online sono aumentati ed è dunque possibile raggiungere la quota dei 60 crediti nel triennio senza necessariamente frequentare tutti gli eventi. Ne bastano pochissimi per starci dentro.
E’ irrisolta ancora la questione delle sanzioni per chi alla fine di quest’anno non avrà i suoi 60 crediti. La nuova normativa dice che giornalisti che non avranno raggiunto quella quota dovranno essere deferiti al Consiglio di disciplina. E’ un vero peccato che nessuno abbia comunicato ai consigli stessi quale sarà la forma sanzionatoria. Ammonimento? Sospensione? Radiazione? Stando così le cose non mi preoccuperei troppo, considerato che sono decine di migliaia in Italia i colleghi che non avranno i crediti necessari a fine anno. Anzi, moltissimi (ma le cifre restano un mistero) non ne avranno nemmeno uno. Nel solo Piemonte (che è la regione più virtuosa d’Italia in tema di frequentazione corsi) la cifra di chi non ha mai frequentato, o lo ha fatto in modo insufficiente, si aggira sui 4 mila sui quasi 7000 (i pensionati che non hanno collaborazioni sono esclusi) che dovrebbero farlo. Se il consiglio di disciplina torinese dovesse farsi carico di migliaia di sanzioni sul territorio del Piemonte impiegherebbe decenni per arrivare ad una conclusione. Forse i nipoti di quelli che oggi siedono alla disciplina riuscirebbero a chiudere la faccenda. Ma va tenuto conto che arriveranno altri trienni e altre migliaia di inadempienti. Io ci penserei un po’.
L’unica buona notizia è che coloro i quali hanno 30 anni di anzianità d’iscrizione all’Albo (professionisti o pubblicisti), e che continuano a svolgere la professione sono tenuti ad assolvere l’obbligo formativo limitatamente all’acquisizione di 20 crediti deontologici nel triennio. Insomma, con un corso online all’anno il più è fatto.
Alla fine tutto questo dimostra che la formazione continua permanente, pur obbligatoria per una legge dello Stato, è stata pensata male e organizzata a livello decisionale peggio, che Roma delocalizza quando gli fa comodo tagliando i contributi e impone una normativa restrittiva del tutto inadeguata al numero degli iscritti (110 mila in tutto il Paese), la maggior parte dei quali non hanno nessuna voglia di sedersi in un aula ad ascoltare un collega che gli racconta come si fa la professione. Era una cazzata, come già scrivevo nel 2014, e lo è rimasta fino ad oggi.