giorgio levi

Il Muro

Oggi 27 marzo 2036 sono 15 anni dalla costruzione dei muri. L’Unità Territoriale dove abito io venne innalzata nel 2022. Io abito nell’Unità 7, una delle aree in cui è stata divisa l’ex città di Torino. Ce ne sono altre sei, tutte separate le une dalle altre da muri di 25 metri. E così è in tutto quel Paese che si chiamava Italia. Ogni città o villaggio è stato frazionato in Unità Territoriali. Sono migliaia. E non c’è nessuna possibilità di uscire dalla propria Unità Territoriale.

Io abito vicino al ceck point di corso Francia, uno dei 12 che separano tra loro le Unità Territoriali metropolitane.La costruzione dei muri, ci dissero allora, era inevitabile per limitare la diffusione del virus. Prima chiusero le regioni, poi le province, poi le città. E poi costruirono città più piccole dentro città più grandi. E paesini minuscoli dentro paesini piccoli. Le Unità Territoriali qui sono completamente autonome. Dispongono di risorse finanziarie che derivano dalle contribuzioni, modeste ma dettate da grande senso comunitario, dei suoi abitanti, calcolate in funzione delle rendite di ciascuno.

Abbiamo un centro sanitario, un centro commerciale con negozi, ristoranti, caffetterie, uffici postali, una banca. Un governo locale con sindaco e giunta, polizia municipale, l’anagrafe. Le scuole fino all’università. Una stazione televisiva e una radiofonica. E poi una biblioteca pubblica, una libreria, la farmacia e una sede della previdenza sociale dell’Unità.

Ogni Unità Territoriale dispone di un parco pubblico. Io sono fortunato perché abito a due passi da quello che un tempo era il Parco della Pellerina. In questi 15 anni è stato trasformato in un luogo di vacanza, di sport, di riposo. Una grande piscina con palestre, due laghi con ponitili per imbarcazioni, un campo pratica da golf, una montagna artificiale dove d’inverno si può sciare, campi da tennis, baskey, calcio.

Io mi sono comprato un piccolo gozzo cabinato a vela che tengo ancorato al molo 3 del Grande Lago. Sono 10 anni che non vedo il mare, che non posso uscire dalla mia Unità Territoriale. Alla volte in primavera vengo qui, mi chiudo nella cabina della mia barca e m’illudo che là fuori ci sia uno di quei tramonti rosa spazzati dalla tramontana.

L’Italia, come l’abbiamo conosciuta noi, non esiste più, i palazzi della politica sono stati sigillati, cancellato il Parlamento per decreto, abolito l’esercito. Le grandi città come Milano, Roma e Napoli suddivise in decine di Unità Territoriali divise da muri e muri e muri e rigidi controlli ai pochi varchi aperti. Sono anni che non vado da nessuna parte, che non annuso l’aria di montagna, che non so quello che c’è al di là del confine di corso Francia. A volte mi sento con Jim Carrey in Truman Show. Poi mi rendo conto che è tutto vero. Le auto in strada sono poche e vecchie, internet è diventata inutile in prigioni così ristrette dove tutto è a portata di mano e a due passi da casa.

Il virus qui da noi non circola da almeno 5 anni. I casi di contagio sono a zero. Sono sparite le mascherine, le protezioni, la vita è esattamente quella del lontanissimo 2019. Una volta sono arrivato fino al ceck point e ho guardato verso piazza Statuto e la collina là in fondo, ho ripercorso quelle strade ombrose che salivano verso Superga sulle quali correvo con la mia Vespa, insieme a mia moglie, nelle sere tiepide d’estate. Mi sono seduto su una panchina del viale e mi è venuto da piangere. Ho rivisto la mia casa del mare, i viaggi, il mondo che avevo conosciuto.

Un bambino, che pedalava sul viale deserto, mi è venuto incontro e mi ha chiesto: che cosa guardi signore? Un semaforo lampeggiante, abbondonato, inutile, ad una manciata di metri da me, appena dopo il confine, lontano un secolo.

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