giorgio levi

Vittorio Feltri a Mario Calabresi: “Coraggio collega, più che la direzione ti mancherà lo stipendio”

Vittorio Feltri non perde occasione. Qualche volta da maleducato, altre con toni sarcastici, ma anche divertenti. Come in questo pezzo riportato da Dagospia sul caso del licenziamento di Calabresi da Repubblica.

Può capitare a tutti di essere licenziati, ai direttori di media capita più spesso. Io che vengo considerato il più pirla della categoria, però, non sono mai stato cacciato. Sovente me ne sono andato di mia sponte perché i giornali sono come le donne: dopo un po’ rompono le scatole a chi li fa. L’ultimo siluramento è toccato a Mario Calabresi, orfano del commissario che gestì l’affare Pinelli (non molti lo ricordano poiché dal fattaccio è passato tanto tempo). Mario molla la Repubblica a tre anni dall’insediamento al vertice dell’ organo debenedettiano.

È durato poco al timone, troppo poco per non sospettare che egli non abbia soddisfatto gli editori. Basti pensare che il fondatore del primo quotidiano maneggevole d’Italia, Eugenio Scalfari, rimase venti anni alla guida del medesimo, e che il suo successore, Ezio Mauro, eccellente giornalista, maturò a sua volta la stessa anzianità di servizio. Ci sarà un motivo per il quale, invece, Calabresi ha avuto vita breve.

L’ipotesi più probabile è che costui abbia gestito malaccio il rinnovamento grafico del foglio, trasformando lo stesso in una specie di lapide mortuaria, triste, anemico e slavato e quindi inadatto a suscitare un minimo di interesse nei lettori, in costante diminuzione in ogni azienda editoriale a causa della prevalenza, del dominio, della comunicazione web.

Non sarebbe onesto attribuire soltanto a Calabresi il calo di vendite della Repubblica.

Però al disastro specifico egli ha dato il proprio contributo. Cosicché i padroni del baraccone hanno avuto buon gioco nel decidere di farlo secco, sperando che il prossimo direttore, Carlo Verdelli, assai abile, compia il miracolo di risollevare le sorti aziendali. Aggiungo tuttavia che i prodigi nella carta stampata ormai non sono a portata di mano.

Confesso di non nutrire simpatia per il povero Mario che mi ha riempito di insulti per averlo scherzosamente definito orfano. Ma nella mesta circostanza del suo funerale recito una prece affinché trovi presto un altro lavoro che egli sappia fare meglio di quello lasciato forzosamente adesso. Coraggio, collega, più che la direzione ti mancherà lo stipendio.

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