Ha ragione il sottosegretario Crimi quando dice che la battaglia per l’abolizione dei contributi pubblici all’editoria e dell’Ordine dei giornalisti è cominciata 10 anni fa. Soltanto che non fu il M5S a farsene carico, ma Beppe Grillo che aveva già messo allora nel mirino giornali e giornalisti. Quasi certamente per ragioni sue personali, altrimenti oggi ci penserebbe due volte prima di mettere a rischio il posto di lavoro di un migliaio di giornalisti e di circa 10 mila lavoratori dell’indotto. Tutti dipendenti di cooperative, editori no profit, piccoli giornali di matrice cattolica. Perché proprio qui sta il grande abbaglio del M5S. Quando questa guerra è cominciata l’obiettivo di Grillo e Associati erano i cosiddetti giornaloni, ovvero La Repubblica, Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Messaggero e qualche altro gruppo editoriale. E cioè mettere in difficoltà gli editori impuri, altro capitolo che fa crescere le croste sulla pelle dei grillini. Invece i giornaloni i contributi pubblici diretti non li ricevevano più, nemmeno 10 anni fa. Naturalmente igooranza e in competenza non sono sentimenti che aleggiano nelle menti perennemente incazzate con i giornalisti di Grillo, Di Battista e Di Maio. Perciò, i giornaloni non ne risentiranno? Chi se ne importa, picchiamo duro su chi resta e salviamo lo slogan che ci siamo inventati 10 anni fa. Più o meno deve essere andata così.
Oggi Il Manifesto pubblica qui alcune delle bugie che il governo ci ha raccontato sulla bontà e necessità di abolire il finanziamento pubblico all’editoria. Provo a riassumerne alcune.
1. TUTTI I GIORNALONI PRENDONO SOLDI PUBBLICI. FALSO. Dopo anni di propaganda, pochi giorni fa è stato lo stesso sottosegretario Vito Crimi ad ammettere che su 18 mila testate registrate in Italia, solo 150 prendono contributi pubblici. I cosiddetti giornaloni sono quotati in borsa e hanno normali azionisti che li finanziano. Usufruiscono (ma solo fino al 2019 se passa la manovra) di una trentina di milioni in agevolazioni e sconti per spese definite da diverse leggi.
2. L’EDITORIA E’ IL SETTORE CHE RICEVE PIU’ FONDI PUBBLICI. Il sottosegretario Crimi ha calcolato una spesa pubblica di 3,5 miliardi di euro in 15 anni. Secondo lui la più alta tra tutte per lo Stato. E’ un vero peccato che i sussidi pubblici alle fonti energetiche fossili dannose per l’ambiente (gas, carbone, petrolio, ecoballe, etc.) sono pari a 11,5 miliardi all’anno.
3. IN ITALIA NON ESISTONO EDITORI PURI. PARZIALMENTE VERO. Secondo un fact checking dell’Agi, tra le più importanti testate italiane alcune sono pubblicate da editori sostanzialmente puri, cioè che non hanno interessi rilevanti fuori dall’editoria (testate Rcs e testate Riffeser), altre da editori impuri (gruppo Gedi e gruppo Caltagirone). In Francia non esistono editori puri, In Germania sì. Gran Bretagna e Stati Uniti sono come l’Italia. I tagli all’editoria danneggeranno sicuramente molti editori puri, cioè le testate pubblicate dalle cooperative di giornalisti, che per definizione non fanno altro che il proprio giornale.
4. I GIORNALI CHE PRENDONO CONTRIBUTI PUBBLICI DIPENDONO DAL GOVERNO. FALSO. Proprio la varietà di testate che attingono al fondo per il pluralismo dimostra che non esistono giornali di per sé governativi. Avvenire è diverso da Libero, che è diverso dal manifesto o dal Primorski.
5. IL TAGLIO AI GIORNALI E’ NEL CONTRATTO DI GOVERNO. FALSO. Lo stesso Di Maio aveva qui dichiarato che non entravano nel programma del contratto di governo.
6. SENZA ORDINE DEI GIORNALISTI I PRECARI STANNO MEGLIO. FALSO. L’Ordine dei giornalisti è un ente di diritto pubblico regolato dalla legge. Abolirlo lascerebbe il campo ad associazioni di diritto privato auto-organizzate. E a quel punto nulla impedirebbe la nascita di associazioni di giornalisti vicini a un editore piuttosto che a un altro.
7. LA CARTA E’ MORTA, IL FUTURO E’ DIGITALE. FALSO. Forse nel futuro, ma oggi l’85% dei ricavi viene ancora dalle copie cartacee. Ogni giorno si vendono 2,8 milioni di copie di giornali, che hanno 16,2 milioni di lettori.