giorgio levi

E’ la Festa della Liberazione, e io i partigiani volevo portarmeli a casa

Una rarissima copia (numero 2 anno 1) del Corriere Alleato Quotidiano del Piemonte che conservo nel mio archivio

Mamma per farmi dormire mi cantava Bella Ciao. E io mi addormentavo sognando prati e fiori e montagne. E loro, i partigiani, i miei eroi.  Mamma a 19 anni aveva corso su e giù per le montagne della Val Varaita dai suoi partigiani a portare pane, messaggi, informazioni. Aveva pedalato veloce di giorno e di notte per arrivare nei rifugi prima che i tedeschi e le brigate nere fasciste rastrellassero le campagne. Dopo la guerra aveva scoperto di essere stata una staffetta partigiana, il 25 Aprile era la sua, e la nostra, grande festa.

I pranzi con i partigiani in qualche trattoria delle campagne di Busca, poi le corone e i cortei e la banda che intonava Bella Ciao. Nel sole di primavera o sotto diluvi d’acqua. A tavola ascoltavo quei ragazzi invecchiati che raccontavano di battaglie e di conquiste, di morti e di amore, di oppressione e di liberazione. La guerra, per me che ero nato nell’Italia del benessere, mi sembrava una cosa lontanissima, ma quei partigiani erano lì, parlavano e cantavano, si commuovevano per i compagni scomparsi e le famiglie decimate dai bombardamenti, dalla follia fascista, dalla dittatura. Mi sentivo protetto. I partigiani di Busca avrei voluto portarmeli a casa a Torino.

Un po’ alla volta, con il tempo, se ne sono andati tutti. Io non credo che siano da qualche parte. Ogni tanto però mi capita di sognare ancora le montagne e i fiori e quel vento impetuoso che si chiamava Liberazione. E’ qualcosa che si confonde nell’aria di primavera. Domani ancora una volta, e poi chissà.