Che dire, è andata. Alla fine all’auditorium Giovanni Agnelli abbiamo archiviato anche i 150 anni della Stampa. Ho vissuto (ehm) l’evento dalla galleria, la riserva indiana dei seniores, detti altrimenti pensionati. Ho visto giornalisti abbracciare tipografi, tipografi abbracciare fattorini, fattorini abbracciare impiegati, impiegati abbracciare dirigenti, dirigenti abbracciarsi tra loro. Come stai bene, sei vecchio ma in forma, quello che conta è la salute, pensa che ho cinque nipoti, ti ricordi il piombo. Come alla festa di Natale alla rotative, ma più in grande.
Ho visto le menti migliori di generazioni di giornalisti del passato digitare su Whatsapp con la noncuranza di un adolescente. Ho scorto omini là in fondo sul palco, mi è piaciuta l’oratoria new age di John Elkann, ho visto di nuca Marchionne seduto con il suo maglioncino blu stropicciato, mi sono domandato che razza di vita fanno i corazzieri, se l’armatura se la sono portata da Roma e si sono vestiti al Lingotto o sono saliti sull’areo a Ciampino con le loro spade e palandrane. Ho apprezzato l’abilità del front man del palco Luca Ubaldeschi, se fossi nel Gramellini televisivo comincerei a temere la concorrenza. Mi sono intenerito per il coro dei bambini del Cottolengo e apprezzato il corto di Davide Ferrario, grande regista sempre. Persino il silente Mattarella era il presidente giusto al posto giusto. Ho cercato di vedere le elegantissime scarpe di Carlo Rossella, forse Church’s, forse qualche artigiano di Savile Row, chissà. Mi sono chiesto chi glielo ha fatto fare a Paolo Mieli di dire che si sentiva commosso. E a tutti gli altri di tirare fuori la solita storia che a Torino è nato il cinema, la tv, la radio, la moda e gli altri cazzilli di rito. Mi aspettavo una citazione, una frasetta, un ricordino di Giulio De Benedetti, vent’anni da direttore, un rivoluzionario, niente.
Poi sono andato a casa in metro , un filino disfatto e con un chiodo fisso. Che cosa c’era che non andava in questa serata algida, ma ben orchestrata? Davanti a Sanremo mi sono addormentato. Alle due della notte capisco. Ed è il solito rovello. Tra un paio di mesi questo giornale avrà un nuovo padrone e non sarà il ragazzo un po’ lento che ha aperto la serata, portandosi la famiglia, come avrebbe fatto l’Avvocato, erede di una lunga e gloriosa storia. La cessione de La Stampa, che qui chiamano “ingresso nel gruppo Espresso”, è aleggiata nell’aria e un paio di volte nelle parole: “La grande opportunità”. Ma non è la tradizione che continua, dalla porta sta per entrare De Benedetti. L’altro, non quello dimenticato.