Mi assento per un paio di giorni per cose ben più alte e nobili della spazzatura che ci sta intorno ed ecco che 48 ore dopo ritrovo le solite beghe da cortile. Questa volta è di nuovo l’ufficio stampa del Comune di Torino che mette di traverso i suoi carri per impedire ai giornalisti di avere contatti con la sindaca Appendino. L’episodio si è sviluppato così e riguarda un giornalista della Rai. Tu cronista vuoi intervistare la sindaca? Mi dici prima che cosa vuoi chiederle, poi ti metti da parte e le domande le faccio io che sono il suo ufficio stampa.
Che malinconia un mondo così. Eppure io lo vedo uguale da quasi 40 anni. Quanti sindaci avrò incontrato nei miei viaggi per le province di Piemonte e Lombardia? Decine, centinaia. Di città e paesi e paesini e paesoni, sindaci di ogni specie e colore, fessacchiotti e simpatici furbetti, disponibili e indisponenti, colti e ignoranti (molti), canaglie e galatuomini (pochi). Tutti con la stessa idea di libertà di stampa. Decido io quando, come e che cosa dire e se parlare con un giornalista. Anzi, prima mi mandi le domande, poi rivedo il suo pezzo. Meglio, mi dà le domande e io scrivo le risposte (e rileggo che cosa ha scritto). Una volta me lo ha chiesto persino un sindaco di un paese di 150 abitanti.
Tutto questo esercito di arruffoni non ha ancora assimilato due concetti base. Il primo, più tu amministratore mi dimostri di essere stupido, più io mi accanirò su di te. Il secondo, tu sindaco sei un nostro dipendente, di noi contribuenti (non cittadini, non popolo che è una minchiata) che, attraverso il lavoro dell’informazione e dei giornalisti, verifichiamo come ti comporti. Siamo cioè noi che ti permettiamo di stare seduto o seduta su quella poltrona, e controlliamo se sei onesto e che cosa sai fare. Tu non devi far altro che assecondare e facilitare ogni passaggio di questa gerarchia, senza imposizioni, ritorsioni e arroganza.
Ai giornalisti le porte non si aprono, si spalancano. E’ tutto molto semplice. Troppo.