
E’ online sui social da una settimana e nelle pagine dei giornali la copertina del settimanale britannico Economist che ha per titolo Welcome to Britaly, con una Liz Truss (ora ex premier) vestita da Britannia che tiene come una lancia una forchetta con gli spaghetti arrotolati attorno. Federico Fubini qui su Il Corriere della Sera spiega bene come stanno le cose nei due Paesi sotto il profilo economico e quanto sia sembrata a noi irritante questa immagine.
Ma il punto vero per capire come funziona questa professione in Gran Bretagna non è questo. Come riportava qui Professione Reporter nel 2020 l’Economist è di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann tramite Exor, e detiene il 43,4% della quota azionaria dopo aver acquistato il 12 agosto del 2015 dal Gruppo Pearson il 28,7% delle quote ordinarie, oltre a tutte le azioni speciali di categoria B, per 287 milioni di sterline, (405 milioni di euro) di tasca propria. Ma come si può vedere dalla distribuzione delle quote John Elkann (maggiore azionista di Exor, la cassaforte di famiglia) non è il proprietario del giornale. Questo perché al momento della fondazione era stata stabilita l’impossibilità, sia per un singolo sia per una organizzazione, di possedere la maggioranza delle quote. Tutto ciò in funzione di garantire la massima indipendenza dei giornalisti che ci lavorano. Insomma, non hanno un padrone a cui rendere conto, anche quando, come in questo caso, puntano il mirino sull’Italia, che è il Paese del loro maggiore azionista. Ma non del loro editore.
Ma c’è di più. La nomina o la rimozione del direttore sono sottoposte al controllo di un organo indipendente da qualsiasi forma di espressione economica (quindi anche degli azionisti) e politica. Un Board of Trustees, ovvero un comitato dei garanti che fa sì che la logica, comune da noi, secondo cui il direttore deve rendere conto alla proprietà della linea editoriale del giornale venga del tutto ribaltata.
Ma c’è ancora di più. L’ultima parte del paragrafo 41 dello Statuto dichiara che nel prendere le proprie decisioni sul trasferimento eventuale di quote, sulla nomina del direttore e su ogni altra questione attinente gli equilibri, i garanti devono badare solo al mantenimento della miglior tradizione e della filosofia generale dell’Economist newspaper e all’interesse generale piuttosto che personale.
Ho letto di commenti scandalizzati dove molti si domandavano perché John Elkann sia rimasto zitto di fronte alla banalità di quella copertina. Elkann non è l’editore, non è il proprietario, può anche non essere d’accordo, un confronto con il direttore Bill Emmot, che è anche editorialista de La Stampa (quindi Gedi, quindi Elkann) ci sarà stato. Ma quella redazione è protetta al massimo livello d’indipendenza.
Una formidabile cassaforte, un marchingegno a difesa della professione che solo il giornalismo britannico poteva inventarsi.
Bravo Giorgio!
Di solito gli economisti con un elevato prestigio accademico, dato il loro ruolo a volte delicato, evitano di dare giudizi tranchant su persone e istituzioni. Eppure a Dani Rodrik un giorno è proprio scappato detto che cosa pensava dell’Economist: ovvero che tutte le volte che si imbatteva in un articolo su un argomento che conosceva bene lo trovava inconsistente e infarcito di errori e incongruenze. La conclusione logica è che gli stessi errori e incongruenze, frutto di un’evidente impreparazione dell’articolista, caratterizzassero anche gli altri resoconti, ragion per cui cessò di comprare e di leggere la rivista.
Non sono mai stato un lettore dell’Economist ma ricordo bene la copertina anti francese, con tanto di baguettes da cui spuntavano delle micce accese e pronte a esplodere.
L’idea era visivamente molto creativa. È l’argomento che doveva supportare che era decisamente stupido. La tesi del giornale era che l’economia francese fosse avviata alla deflagrazione perché non era più in grado di attirare capitali dall’estero. E se non si riesce a iniettare capitali da fuori, è morte quasi certa. Ora, è evidente che una tesi di questo genere, poteva avere una parte di verità – ma solo una parte – ai tempi del Re Sole. Nelle economie avanzate moderne l’insufficienza di capitali monetari semplicemente non esiste. La tesi dell’Economist era una vera e propria stupidaggine, segno di un giornale refrattario alla comprensione dei principi economici fondamentali. Inutile dire che la Francia in tutti questi anni è ancora in piedi. Non che non abbia problemi, anzi. Il suo deficit ormai strutturale della bilancia dei pagamenti è sicuramente un problema. Ma l’origine non è certo quella indicata dall’Economist. Il fatto che tu riesci a mantenere anno dopo anno questo deficit è perché i capitali li attrai comunque, anche se non vengono impegnati in modo utile per il paese. Una realtà dunque esattamente opposta a quella rappresentata dall’Economist… Ma pochi conoscono i principi base dell’economia. Basta aprire un qualsiasi quotidiano.
questo post però aveva un altro significato . Io mi occupo di giornali, editori e giornalisti, indipendentemente dagli argomenti che trattano. L’idea di blindare una redazione che la renda indipendente dal padrone di turno mi sembra convincente. Un obiettivo a cui dovrebbero puntare i giornalisti di Repubblica.