
Sulle prime sembra il set di Full Metal Jacket. La notte buissima, il vento che fa garrire la bandiera dell’Ucraina, piantata sui sacchi di sabbia a fare da barricata. E quella luce. Oh, quella luce. Il cielo scuro, i palazzi illuminati di giallo, il cono dei lampioni sull’asfalto, la tincea bianca, il vessillo così limpido nella notte scura. E poi quell’aria nitida, pulita. E quel sonoro. Oh, quel sonoro. Perfetto, la voce senza incrinature, gli spari lontani ma cristallini.
Ho pensato, adesso viene fuori Stanley Kubrick e dice che non gli piace il dettaglio di quell’albero là in fondo. Invece, chi ti vedo? Massimo Giletti, in mezzo ad una strada di Odessa, in una inquadratura perfetta, da film di guerra. Com’è andata che Giletti era a Odessa è riportato su tutti i giornali di oggi.
Mi limito ad osservare che questa volta Giletti (il cui programma non ho mai visto, ma non per snobiso, è che i talk e i giochi in tv mi annoiano) è stato bravissimo. Leggo sui social la solita caterva d’insulti dei ben noti inviati da tastiera. Bravi, andate voi a portare il vostro culo in una notte di bombardamenti in Ucraina. Giletti, che è un giornalista, l’ha fatto. Come un tempo gli anchorman e le anchowomen americane. Ci ha offerto un’altra angolatura di questa devastante guerra. Dobbiamo sempre sbeffeggiare i giornalisti, anche quelli coraggiosi?
Ah, dimenticavo. Certo, non sarebbe stato male vedere sfilare là dietro un drappello di soldati fischiettanti The Mickey Mouse Club March. E vabbè, Kubrick ti voglio bene lo stesso. Sarà per la prossima volta.