giorgio levi

Da domani Corrado Augias lascia la rubrica delle lettere su Repubblica

Corrado Augias (this image, which was originally posted to Flickr, was uploaded to Commons using Flickr upload bot on 26 August 2012, 07:42 by Basilicofresco. On that date, it was confirmed to be licensed under the terms of the license indicated foto Wikipedia)

Dopo vent’anni e sei mila lettere Corrado Augias lascia la sua rubrica su Repubblica. Gli succede Francesco Merlo.

Lo ha annuciato lui stesso con una intervista a Simonetta Fiori il 26 febbraio scorso sul suo giornale.

Perché hai deciso di lasciare? 
“Dopo un periodo così lungo è inevitabile. Vent’anni vogliono dire seimila lettere e altrettante risposte. Il rischio è quello di ripetere se stessi. E io francamente volevo evitarlo. Poi la rubrica delle lettere comporta un impegno vero. Sono avanti negli anni e vorrei finire un lavoro sul passaggio di Roma dal paganesimo al cattolicesimo. Per farlo ho bisogno di tempo”.

Hai definito la rubrica delle lettere come un oblò attraverso il quale scrutare il sentimento profondo del paese. In questi vent’anni come hai visto cambiare gli italiani?
“Ne ho visto mutare soprattutto lo stato d’animo. Quando presi il timone della rubrica, nel 2001, i lettori era molto curiosi, appassionati di politica e cultura. La Repubblica di Ezio Mauro, anche grazie a giornalisti come Giuseppe D’Avanzo, era un giornale di netta opposizione al berlusconismo, soprattutto per ragioni morali. E il pubblico partecipava a questa battaglia con spirito civile, animato da una fiammella vitale. Dopo la grande crisi economica del 2008, si sono manifestati altri sentimenti quali paura, inquietudine, sfiducia nel futuro. Uno smarrimento aggravato oggi dalla pandemia”. 

Sono cambiati anche i temi?
“Ho smesso di ricevere lettere sul rapporto tra Stato e Chiesa, molto sentito quando il cardinal Ruini presiedeva la Conferenza episcopale italiana come se ancora regnasse il papa re. Non dimenticherò mai la pressione dei vescovi sulla procreazione assistita o la negazione dei funerali religiosi a Piergiorgio Welby. In quei passaggi i lettori erano molto reattivi”. 

Tu hai capito chi sono i lettori di “Repubblica”?
“Molti sono professori di scuola, i famosi “quadri” medi-alti a cui si rivolgeva il neonato quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Anche nel prosciugamento fisiologico che ha colpito tutta la carta stampata, credo che lo zoccolo duro rimanga la borghesia colta, quella che alle elezioni continua a votare il partito democratico”.

Perché si scrive ai giornali?
“Togliendo di mezzo i grafomani – alcuni bravissimi – le spinte essenziali sono quelle di denunciare e di confidarsi, anche su temi personali. Ogni giorno, per vent’anni, oltre al carteggio reso pubblico, ho risposto a una decina di mail che mi interpellavano sulla scuola dei figli o sui comportamenti coniugali. So che dirlo mi potrebbe esporre a pernacchie, ma capelli bianchi e una certa pacatezza del carattere mi hanno reso un personaggio affidabile, molto amato”.

È innegabile. Ti scrivono anche i ragazzi.
“Sì, ragazzi e ragazze. Forse scatta la sindrome del nonno”.

C’è una differenza tra le lettere maschili e quelle femminili?
“Le donne parlano molto di donne, soprattutto negli ultimi anni ho avvertito un’insistenza di genere, mentre gli uomini non parlano mai di una condizione maschile. Anche questo è comprensibile”.

Come scegli le lettere?
“Leggo le prime righe. Se mi scatta la scintilla, ossia mi viene subito da rispondere, la metto da parte. In genere ricevo circa centocinquanta lettere ogni giorno, ma buone sono solo una ventina. Pubblicabili quattro”.

Hai sempre parlato di tutto, anche della morte.
“Alla mia età, sempre più spesso cominci a pensare non alla morte ma al morire, a come si muore: in un ospedale intubato tra i bip bip o patriarcalmente circondato dagli affetti famigliari? Parlare di morte serve a esorcizzarla. I lettori me ne hanno parlato e io ho risposto”.

A un lettore moribondo hai risposto con una lettera di Seneca a Lucilio. Nelle tue risposte non mancano mai i libri come stelle polari.
“Conosco i miei limiti. So di non avere la zampata spesso felicissima di un Michele Serra, capace di prendere un argomento e farlo girare sulle punte delle dita. La zampata è una virtù anche di Francesco Merlo, il mio successore a cui faccio tanti auguri. Io ho cercato di svolgere un servizio utile, indicando i libri che potessero essere di aiuto al lettore”.

Qual è la funzione della rubrica delle lettere?
“Io ne indicherei due. La prima è dare voce ai lettori, soprattutto quando esprimono dissenso dalla linea del giornale. L’ho sempre fatto, mi è capitato anche di recente, nella massima libertà da parte del direttore Maurizio Molinari. L’altra funzione è quella di fidelizzare i lettori: stabilisci una corrispondenza in un paese in cui l’attitudine alla risposta è rara”.

Rispondi anche a chi insulta? 
“Sì, qualche volta. Se rispondi pacatamente il lettore ti mostra gratitudine. Questo ti dimostra due cose: quanto sia utile cercare sempre il dialogo. E quanto alcune persone non si rendano conto del valore semantico delle parole scelte. In questo senso una rubrica delle lettere può avere anche una funzione di educazione lessicale. Ma cerco di dirlo a bassa voce, sempre per evitare le famose pernacchie”.

Credits

La Repubblica

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