giorgio levi

Dagospia sulla crisi Inpgi: “E il bubbone dei 270 milioni di euro di contributi mai pagati dalle aziende?”

Su Dagospia è uscito qui ieri un lungo rapporto sulla situazione economica e finanziaria dell’Inpgi. Riporto di seguito la parte centrale dell’articolo che riguarda quello che i vertici potevano fare e non hanno fatto, le manchevolezze, le occasioni di riequlibrare i conti che sono andate perse, i temi spinosi che sono stati aggirati. Buona lettura.

Certo la miopia c’è stata e profonda. L’istituto è stato a guardare, non ha preso di petto la situazione già dieci anni fa, quando il patrimonio non era eroso dalle perdite, e quando si poteva imboccare più facilmente il rientro nell’alveo pubblico da condizioni di relativa forza. Oggi si va a chiedere il soccorso pubblico con il cappello in mano. Le due riforme del decennio (2011 e 2017) non hanno invertito la situazione. Perché di fatto non è sanabile.

Ogni anno, pur con le riforme, il buco previdenziale aumenta di una cinquantina di milioni. Prova ne è che da solo l’Inpgi non può farcela. Per colmare il buco occorrerebbe un taglio pesantissimo delle pensioni e/o un aumento intollerabile dei contributi Per colmare il disavanzo attuale di 200 milioni, si dovrebbero tagliare le pensioni del 20-30% e insieme aumentare i contributi di entità analoga. Un bagno di sangue intollerabile e probabilmente anti costituzionale soprattutto sui trattamenti in essere, ma anche sui contributi dato che ora sono allineati al regime Inps. A proposito di contributi e della responsabilità in capo ai vertici dell’ente.Per decenni le aziende editoriali hanno versato contributi più bassi di 2-3 punti percentuali rispetto all’Inps. Un regalo agli editori, sanato solo negli ultimi anni.

C’è un tema spinoso che nessuno ha mai affrontato e che non salverà l’Inpgi, ma chiama in causa le gestioni di chi ha governato l’Istituto negli ultimi anni. L’Inpgi ha una mole di contribuiti non riscossi enorme. Sono i contributi degli editori, dato che i giornalisti vedono il loro contributo (il 9% più un 1% aggiuntivo per retribuzioni sopra i 44 mila euro) trattenuto direttamente in busta paga. Ebbene il monte contributi non riscossi ammonta a ben 277 milioni di euro. Un livello che si trascina inalterato da anni. Nel 2011 il monte contributi evasi o meglio in sofferenza era di 274 milioni di euro.

Come si vede nulla è successo. L’ente si trascina da un decennio una montagna di contributi non pagati dalle aziende senza fare quasi alcunchè. I tassi di recupero come ha rilevato la Corte dei Conti sono risibili. Pochi milioni l’anno. E così ogni anno l’ente deve svalutare i crediti in sofferenza di decine di milioni. C’è un fondo svalutazione di un centinaio di milioni nel bilancio dell’Inpgi tuttora. Ebbene la Corte dei Conti nella relazione del 2017 metteva in luce la scarsissima capacità di recupero da parte dell’Inpgi e suggeriva di passare a misure più drastiche come la riscossione coattiva. Insomma se gli editori non pagano si potrebbero pignorare i loro beni. E’ stato fatto?

Vero è che di quei 277 milioni, una cinquantina sono ritardi di incassi da un anno con l’altro che quindi vengono poi riscossi e un’altra cinquantina sono contributi non pagati da aziende fallite. Restano in ogni caso almeno 170 milioni di sofferenze da recuperare. Perché non assumere giovani laureati disoccupati come ispettori, con magari un incentivo sui volumi recuperati, e provare ad andare a caccia delle aziende morose? Si è mai provveduto. Dai tassi di recupero risibile pare di no.

Dalla gestione finanziaria emergono le prime crepe. Per forza, dovendo liquidare le attività in titoli per garantire la liquidità immediata per pagare le pensioni, i proventi finanziari si assottigliano. L’anno scorso sono stati di pochi milioni solo 3,7, contro una media di qualche decina di milioni degli anni scorsi. Pesano anche le svalutazioni dei titoli. Nel 2019 sono stati persi 37 milioni e altri 14 milioni nel 2018. Altri 10 milioni sono stati persi nel 2020. Se i conferimenti immobiliari e la gestione in titoli avevano in passato compensato in parte il buco della previdenza, ora anche questo appiglio non c’è più. Un’altra ragione per ritenere che la sopravvivenza dell’Inpgi così com’è non è garantita per nulla.

Il dissesto e l’accumulo vertiginoso delle perdite non hanno scalfito più di tanto gli stipendi del presidente Marina Macelloni e del direttore generale Mimma Iorio. Secondo l’ultimo rapporto della Corte dei Conti, la presidente Macelloni nel 2017 ha incassato 229mila euro, cui si sono aggiunti 16mila euro di rimborsi per un totale di 246mila euro.

Remunerazioni appena al di sotto del limite imposto per i dirigenti della pubblica amministrazione. Certo Macelloni ha fatto la sua piccola spending review dato che nel 2016 era arrivata a incassare 272 mila euro. Il direttore generale Mimma Iorio ha un contratto che le assicura una remunerazione fissa da 232 mila euro, al netto dei contribuiti previdenziali e assistenziali, come ha ricordato nell’ultimo rapporto la Corte dei Conti”.

Credits

Dagospia

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