
A volte certe querelle è bene lasciarle decantare. Il battibecco (per quel pochissimo che alla gente può interessare) tra Mattia Feltri e l’ex presidente della Camera Laura Boldrini è transitato, per fortuna rapidamente, sulle prime pagine dei giornali.
Detto in breve. Mattia Feltri, si è rifiutato di pubblicare sull’Huffington Post, che dirige, un commento spiacevole di Boldrini verso il padre Vittorio. Il tema riguardava il termine ingenua usato dal direttore di Libero verso la diciottenne struprata da Alberto Genovese. Un pezzo sgradevole, come la maggior parte di quelli che da tempo scrive padre Vittorio, in preda forse a qualche delirio senile, che ha però suscitato un vespaio di polemiche.
La questione nel dettaglio è riassunta qui e dunque non starò a farla tanto lunga. Ma come scrive giustamente il Post: “Quell’articolo è diventato un pezzo della storia, molto ripreso e criticato, dai marciapiedi al parlamento”. Aggiungo, soprattutto dai marciapedi, che in questi anni si sono trasferiti dall’asfalto della strada ai social, dove tutto vale tutto e uno vale uno e dove spesso l’approssimazione è venduta come opinione insindacabile.
Tutto è cominciato da un post scritto dall’onorevole Boldrini sulla sua pagina Facebook: “Avevo scritto un intervento per il blog dell’Huffington Post in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne. Il direttore di HuffPost, Mattia Feltri, ieri non ne ha autorizzato la pubblicazione. Sapete perché?Perché chiamavo in causa Vittorio Feltri, suo padre, che martedì firmava un articolo su Libero dal titolo: La ragazza stuprata da Genovese è stata ingenua, di fatto attribuendo, come avviene troppo spesso, anche alla ragazza la colpa dello stupro. Dunque un direttore di una testata giornalistica sceglie di non pubblicare un intervento per via dei suoi rapporti familiari”. E poi si domanda: poteva farlo?
Sì, poteva. Per un semplice e banalissimo principio: un direttore di giornale (in base all’articolo 6 del contratto di lavoro) può decidere liberamente che cosa pubblicare o no sul suo giornale. E’ una sua prerogativa e soprattutto una responsabilià. Anche quando la decisione sembra liberticida. Ha affermato qui Carlo Verna, presidente dell’Ordine dei giornalisti: “È illimitato il potere del direttore? Anche impermeabile alla critica posto che nessuno può imporre la pubblicazione? Il blog (che ha una natura diversa rispetto a una pagina di giornale, le tecnologie di oggi impongono anche nuove riflessioni sui confini tra i diritti) al di là di policy privatistiche non dovrebbe contemplare una libertà in più per chi ne è stato chiamato ad esserne titolare?”. Aprendo un’altra snervante discussione: un blog (come quello di Boldrini su HuffPost) può essere soggeto a censure?
Se il blog compare all’interno di una testata giornalistica è soggetto al controllo del direttore. Perciò Mattia Feltri non ha fatto altro che esercitare un suo diritto e lo può fare non solo perché lo prevede il contratto (il direttore è l’unico dipendente di un giornale che può essere licenziato senza giusta causa), ma anche la legge.
Ci sarebbe da discutere semmai sull’opportunità di un direttore di censurare una opininista che parla male del proprio padre. Forse Mattia avrebbe fatto bene a trovare una soluzione con Boldrini. Scrive qui su HuffPost il direttore: “L’ho chiamata e le ho chiesto la cortesia di omettere il riferimento. Al suo rifiuto e alla sua minaccia, qualora il pezzo fosse stato ritirato, di renderne pubbliche le ragioni, a maggior ragione ho deciso di non pubblicarlo. Al pari di ogni direttore, ho facoltà di decidere che cosa va sul mio giornale e che cosa no. Se questa facoltà viene chiamata censura, non ha più nessun senso avere giornali e direttori. Oltretutto l’onorevole Boldrini, come altri, su HuffPost cura il suo blog. Quindi è un’ospite. E gli ospiti, in casa d’altri, devono sapere come comportarsi”. Evidentemente non era suffciente a tenere in piedi un dialogo.
In genere nei giornali la rigidità dei direttori verso i collaboratori non paga. Alla fine una mediazione si può sempre trovare. Ma qui l’impressione è che siano partiti tutti con il piede sbagliato fin dall’inzio.
Tuttavia, per come è regolata questa professione, Mattia Feltri aveva pieno diritto di non pubblicare quell’articolo.