L’altro giorno il primo ministro Conte ha detto: “Non ci sarà un altro lockdown”. Forse aveva letto in anticipo i dati economici usciti oggi sui giornali. Secondo l’Istat il Pil, in conseguenza della chiusura totale del Paese di primavera, dovrebbe crollare a -12,8%. Il dato peggiore dal 1995. Siamo cioè tornati indietro di 25 anni. Fino a febbraio l’ottimismo si calcolava su un miserrimo +0,1%. Un altro lockdown e il Paese artrerebbe a 50 anni e più anni fa, con zero probabilità di riprendersi. Le poche aziende rimesse in piedi chiuderebbero, avremmo milioni di disoccupati e l’Inps, che si regge in piedi maluccio con le contribuzioni dei lavoratori, andrebbe in fallimento. Lasciando, a sua volta, milioni di italiani senza un euro di pensione. E tutto questo senza contare la crisi irreversibile delle banche prese d’assalto dai risparmiatori, a cui non potrebbero fare fronte per mancanza materiale di liquidi.
Conte, che sa benissimo che non potrebbe tornare in Europa, dopo un eventuale secondo lockdown, a chiedere qualche altro centinaio di miliardi di elemosina, che ancora non abbiamo visto, ci rassicura: non chiuderemo più le attività produttive. Cioè la vita continua. Un concetto che alla grande Famiglia degli incazzati dei social sfugge. So benissimo che quello che accade in rete è perverso per sua stessa natura, non c’è un esame da superare per esprimere una opinione decente. Ognuno dice quello che gli pare. I social, tuttavia, sono lo specchio di quello che siamo. Se Facebook ha più di 35 milioni di utenti (dato Agcom aprile 2019) vuol dire che quei 35 milioni siamo noi, è il Paese, è la nazione che vota. Sono l’espressione del pensiero globale dell’Italia.
D’altra parte Salvini lo sa bene. Le sue campagne elettorali non hanno più un programma politico. Si basano solo sui selfie. Che siano con donne e uomini, o con prosciutti e formaggi. Le stesse immagini che finiscono su Facebook o Instagram. La domanda: è questa la massificazione del pensiero? Credo di no. Ma certo sarebbe superficiale non tenere conto di quello che 20 o 30 milioni di italiani postano ogni ora e ogni giorno sulle colonne dei social.
Perciò, invece d’insultare con epiteti sessisti e volgari, la ministra Azzolina (ne sono stati postati a migliaia) dovremmo esserle grati per aver lavorato giorno e notte, in questi mesi, per consentire ai ragazzi di tornare a scuola.
Tuttavia, è proprio qui che cominciano le distorsioni. Dei miei 5 mila contatti nessuno in questi giorni si è soffermato sulle rassicurazioni di Conte. E sulla gioia della notizia della riapertura delle scuole. Al contrario, continua la gara a chi pratica più terrorismo psicologico. C’è ancora chi ricorda come s’indossano le mascherine (e basta!), chi se la prende con la gente che all’aria aperta e in piena sicurezza rifiuta di metterla. Siamo ancora alle invettive sulle movide. Siamo fermi a 6 mesi fa. E moltissimi paventano un secondo lockdown, ma non come il capitolo finale del Paese, al confronto del quale il virus ci sembrerebbe una caramella, ma come speranza. Ho amici che mi hanno detto: io ho paura, preferirei un altra chiusura totale. Perciò non escono, non vanno al mare, non si godono un sentiero di montagna, non entrano nemmeno in un supermercato. Ho letto di una signora che l’ultima volta che aveva aperto la porta di casa sua è stato a febbraio. Per carità, ognuno si gode la vita come vuole. Se a qualcuno piace tenersi la mascherina anche in macchina che Dio lo benedica. A me fa impressione. E a nulla vale spiegare loro che un nuovo lockdown significherebbe anche la loro fine di confinati eterni. Senza un euro di pensione in tasca a chi commissionerebbero la spesa da portare a casa?
Ora però mi tocca spiegare il senso di questa fotografia che ho postato. Ecco, mentre i socialisti (i frequentatori dei social) si arrovellano su Briatore o Lino Banfi, la Storia ci passa accanto, non la vediamo, ma fa passi da gigante. La Storia quella vera, che guarda avanti, che mattone dopo mattone costruisce il futuro. Quello dello screenshot è una areo della compagnia israleliana El-Al, che per la prima volta ieri è atterrato in un Paese arabo, considerato nemico fino all’altro ieri. Osservate bene la foto. La carlinga dell’aereo porta la scritta pace in arabo, inglese ed ebraico. Le tre bandierine sono quelle dei tre Paesi. L’aeroporto in cui è atterrato è quello di Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti. E sulla scaletta c’è un addetto alla sicurezza arabo che sta per aprire il portellone. Da dove scenderà la delegazione israeliana. Compreso un rabbino, che per la prima volta nella storia, terrà, davanti al microfono, un sermoncino in terra musulmana.
Se non è uno spettacolo meraviglioso questo, non so che cosa ci aspettiamo dalla nostra misera esistenza. Questa immagine non l’ho vista su nessun profilo. Tutti troppo presi dallo spiegare per la milionesima volta come s’indossa una mascherina. Contenti loro.