giorgio levi

L’antipatia per gli Agnelli

C’è chi giura che in edicola non acquisterà mai più una copia di Repubblica. Chi vede la fine ormai prossima della Stampa. Chi sostiene che quella di John Elkann ai danni di Verdelli, licenziato in tronco, è una vendetta per avere sparato a zero sulla Juventus ai tempi di calciopoli quando Verdelli era direttore della Gazzetta dello Sport ed Elkann azionista di Rcs (fu Verdelli a coniare il termine Moggiopoli).

Poi c’è chi afferma che gli Agnelli (in generale) sono dei farabutti perché non pagano le tasse in Italia, avendo spostato la sede finanziaria di Fca in Olanda e quella legale in Uk. E gli Agnelli sono anche dei maledetti ingrati perché hanno sempre succhiato denaro allo Stato per vendere le sue schifezze di automobili. E perché John Elkann è socio di maggioranza del britannico Economist? Che cosa c’è dietro? Soros? La lobby ebraica?

Insomma, i social hanno dato sfogo al loro malumore, volgare e generico come sempre, mai appoggiato da dati, cifre e riscontri. Perché questa è la filosofia social: dico una cazzata enorme e vediamo che cosa succede. E in questo caso di cazzate se ne sono dette tante. Mi fa persino specie che non sia tornata fuori l’uccisione di Edoardo Agnelli ordinata dal padre Gianni. E mi fa strano che nessuno si sia ricordato di Lapo, uomo debosciato, succhia cazzi, travestito, juventino. Ne sono stupito, perché quando gli Agnelli salgono in prima fila si scatena la più retriva e volgare onda di odio verso una famiglia, senza che nessuno si faccia mai una domanda.

Si potrebbe dire che Fca paga le tasse regolarmente in Italia, che è ad Amsterdam per vantaggi fiscali e societari. Come decine di migliaia di aziende di tutto il mondo. Compresa Mediaset, che ha appena traslocato la sua sede in Olanda. I quattro Beatles c’erano già arrivati negli anni Settanta. L’elenco è lunghissimo, la hit delle società più quotate in Borsa con sede ad Amsterdam si trova facilmente su internet. E tuttavia, conviene ricordare che l’Olanda è ancora in Europa. E che una società internazionale come Fca ha tutto il diritto, come tante altre americane e orientali, di collocare la propria sede nel Paese dove trova migliore accoglienza finanziaria e snellimento burocratico. Ma non per questo non paga le tasse sulla produzione dei suoi stabilimenti in Italia.

Si potrebbe dire che il dottor Elkann non è più ragazzino, è cresciuto, ha imparato moltissimo da Marchionne, e una volta scomparso lui, grande oppositore all’ingresso della famiglia nell’editoria, ha deciso d’investire nei giornali. E potendolo fare, ha scelto l’editoria che conta in Italia.

Certo, la mossa di mettere alla porta Carlo Verdelli, minacciato di morte dai neofascisti, non è stata tra le più indovinate. Un po’ di tatto ci vorrebbe sempre. Ma tra Elkann e Verdelli i ferri erano già corti da tempo. Diciamo che non è stata una sorpresa. Verdelli era stato scelto dai De Benedetti (degli incapaci, fece intendere un giorno, il padre Carlo) senza il consenso di John, un anno fa socio di minoranza. Verdelli era stato vice di De Bortoli al Corriere, quando Elkann era nel Cda di Rcs. Qualche filo si deve essere intrecciato allora a mai più snodato. Tant’è vero che pochi mesi dopo l’insediamento di Verdelli (febbraio 2019) si parlava già di Molinari a Repubblica.

Verdelli ha lasciato Repubblica a 132.270 copie in edicola (dati Ads fenìbbraio 2020) e l’aveva ereditata da Mario Calabresi che l’aveva portata a 138.675 copie (Ads,febbraio 2019). Molinari lascia La Stampa a 86.619 copie (Ads, febbraio 2020) ed era a 140.472 (Ads, novembre 2015) con la direzione di Mario Calabresi, traslocato quello stesso mese a Repubblica.

Il tema perciò non è la famiglia Agnelli, ma la crisi senza precedenti in cui è precipitata l’editoria. Che ora in campo ha un altro soggeto, oltre a Urbano Cairo che tiene in mano Il Corriere della Sera. Una voce interna a Rcs, non confermata, sostiene che in questo disgraziato periodo di chiusura di tutte le attività economiche, il Corriere è il quotidiano italiano che ha venduto più copie giornaliere: 100 mila. E che Repubblica è a 80 mila. Saremmo all’inizio della fine. Ma è una voce, naturalmente.

Ora tocca a John dimostrare quanto è capace. Quanto investirà, soprattutto. Quanto terrà da conto le esigenze dei giornalisti e quanto valorizzerà il loro lavoro. Anche quello di chi guadagna 15 euro lordi ad articolo.

E’ lì che lo giudicheremo, e non perché è il nipote di Gianni Agnelli.