Da quello che si apprende sembra sia stato positivo il primo incontro di Massimo Giannini, nuovo direttore de La Stampa, con il Cdr in rappresentanza della redazione. Certo, il primo incontro è sempre positivo. Spesso anche il secondo e forse il terzo. E’ il dopo che non si sa.
Giannini comunque una cosa che i giornalisti della Stampa volevano sentirsi dire l’ha affermata: io sono qui per giocare con voi, non fare l’arbitro. Una dichiarazione in controtendenza con quanto aveva sempre proclamato fino a ieri Molinari, contestato dai suoi colleghi perché si era assunto un ruolo d’imparzialità, per sua stessa ammissione, nella lunga e difficile trattativa sindacale sui tagli, tra giornalisti e azienda. Giannini non sembra della stessa opinione. Dovrebbe giocare con la maglia della redazione. Oggi, domani boh. Molinari è anche il suo direttore editoriale.
Il direttore, voluto fortemente da John Elkann, è sembrato anche ben determinato a portare avanti la sfida che attende La Stampa per i prossimi anni: rendere il giornale più competitivo. E’ ovvio che non poteva dire il contrario: sono qui per affossarvi. Ma se c’è un progetto ci saranno anche gli investimenti, un giornale non può diventare più competitivo poggiando sui tagli. L’edificio s’inabisserebbe. Ma questo Giannini, che non arriva dal bollettino della Val Sugana, lo sa. E’ una fase difficilissima, di crisi totale del sistema editoriale italiano, se ha accettato l’incarico forse merita credito.
Nel primo pomeriggio ha incontrato la redazione al completo e le sedi distaccate collegate in video conferenza. Un incontro breve di una decina di minuti, per quello che ha detto pare con generale soddisfazione. La Stampa non diventerà un quotidiano regionale. Giannini, che crede ancora nella carta, vuole ricostruire il giornale autorevole di livello nazionale e interanzionale, qual è sempre stato in passato. Anche in concorrenza con i cugini di Repubblica.
Per Giannini è un ritorno, come lui stesso ha ricordato. A 34 anni, nel 1995 era stato alla Stampa, assunto da Ezio Mauro, che, pochi mesi dopo averlo convinto a venire a Torino, aveva traslocato alla direzione di Repubblica. E fu poi fu lo stesso Mauro, due anni dopo, a richiamarlo a Roma.