giorgio levi

La mareggiata

La mia alba sulla spiaggia di Celle Ligure

E’ l’anno delle mareggiate, questo. Più o meno intense. Pietrose o sabbiose, spumose e opache, vigorose o malinconiche, a seconda di come la luce del sole le attraversa mentre si rompono sull’arenile. Così, me ne sto a qui sulla riva a classificarle. Il voto minimo è 1, se la schiuma è uno sputacchino sulla sabbia. Il massimo è 10, se l’onda si forma lontana e cresce e corre alta e si spacca con fragore sulle pietre.

Il giudice di sedia (o di sdraio) al Wave Talent 2017  è il massimo dell’attività che mi concedo. Questo mi consente di stare qualche milione di chilometri lontano dalle granucce dell’Ordine. Ho perfino dimenticato l’incauto caso Giletti. E le tante volte che in quattro anni (uno in più del dovuto, record di ogni tempo dall’istuzione della legge del 1963) mi sono girate le balle sui più svariati temi in discussione. E prima delle elezioni, per il rinnovo dei vertici nazionali e piemontesi, del 1° e 8 ottobre. Mi riprometto, quando avrò finito il lavoraccio di classificare le onde, di raccontare un po’ com’è andata lì da noi, in corso Stati Uniti. Ma ho bisogno di altra luce, questa all’alba è così luminosa che a volte m’incanta (Ivano Fossati, Una notte in Italia, “questo taglio di luna“. Ecco, una roba così). Aspetto perciò un altro taglio di luce, meno lirico.

La mareggiata scema (verbo scemare, ndr.) così non posso dimenticare una telefonata. Un paio di mesi fa un collega dell’Ordine nazionale mi fa una telefonata di fuoco. Direi, un po’ sopra le righe. Ascolto. Mi accusa di avere offeso la memoria di una collega, ricordata con un concorso giornalistico, e di avere raccontato menzogne sui rapporti economici che legano gli ordini regionali a quello nazionale. Dice anche che meriterei di finire davanti al Consiglio di disciplina, poi ci ripensa: “No, perché poi tu cavalcheresti l’accusa sul tuo blog e ne diventeresti la vittima”.

Cazzarola, mi sopravvaluta. O me o questo blog. Cerco così di prenderla alla leggera, ammetto i miei errori. Lo stesso giorno qui porgo le mie scuse per l’involontaria offesa. La telefonata si chiude con un abbraccio e reciproche attestazioni di stima. Ci vediamo a Roma, mi dice. Direi di no.  Perché racconto questo episodio? Perché si è chiuso in pace tra persone ragionevoli, tra un collega più giovane e uno più datato. E soprattutto perché quello anziano ha ammesso di avere sbagliato, sorvolando sui toni. Ma  quello che mi ha impressionato è il tasso di nervosismo verbale con cui sono stato investito da quella telefonata. Che clima abbiamo in questa spesso disperata categoria? Le elezioni di ottobre forse non diranno nulla più di quanto già non si sappia sulla traballante e vetusta istituzione dell’Ordine. Il mondo dei giornali del 1963 non ha più nulla a che fare con quello del 2017. Io avevo 11 anni e indossavo ancora i calzoni corti all’inglese con i due bottoni all’altezza delle ginocchia. E calze alte grigie, come quelle che aveva Carlo d’Inghilterra che di anni ne aveva 15 e oggi va per i 70.

C’è un mondo dell’informazione sfavillante là fuori, consegnamolo, a tutti i livelli, a chi ne ha conoscenza. Il tempo del ’63 è finito.

Le onde si sono placate. La mareggiata si è ammorbidita. Il giudice di sedia infila le sue pinne. Ora si può andare.