Aveva appena ottenuto la solidarietà (sic!) dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte per la sua vicenda in Rai. Ma non la mia di solidarietà, come qui avevo espresso subito e molto chiaramente. Ora Massimo Giletti è ricascato nel suo vizietto professionale. Lo stesso per il quale era stato sanzionato in passato dall’Ordine per ben due volte e, come raccontato qui, sospeso per un anno dalla professione.
Il difettuccio è ancora quello. Prestare volto e immagine a campagne televisive promozionali o a pagine di giornale pubblicitarie. Con ben due sanzioni e una sospensione, io ci avrei pensato due volte. Giletti no, e in questi giorni è uscita questa pagina dove l’anchorman della domenica Rai offre il suo volto alla pubblicità dell’azienda di famiglia. Il signore nella fotografia è suo papà, industriale laniero del Biellese. Per carità, va bene tutto. Giletti dirà che non ha preso un euro, che quello è suo padre, che l’azienda è un fatto famigliare.
La questione però e semplice: non si può. In mezzo a tante inutili norme che regolano la stentata esistenza dell’Ordine questa è chiara: un giornalista professionista non può utilizzare la propria immagine per pubblicizzare qualsivoglia prodotto commerciale. Anche se lo fa gratis e il pullover che indossa è suo.
Questo mescolare professione con altro non va bene, o fai il giornalista o fai il brand. Tutti e due no. E’ per questo che l’altra settimana mi sono dissociato pubblicamente, non potevo essere orgoglioso di avere Giletti tra i colleghi iscritti all’Ordine dei giornalisti. Nei miei lunghi anni da sindacalista in Mondadori ho combattutto battaglie infernali per impedire che la pubblicità si mangiasse l’informazione, cosa che negli anni Ottanta era la regola sui magazine non solo mondadoriani e nessuno s’incazzava. Ora a trent’anni di distanza si ripetono le stesse pastette, adesso però è davvero troppo.