C’è chi è ben più qualificato di me a giudicare Il Salone del Libro, la guerra con Milano, i colpi bassi tra editori, le rivalità politiche, i sensi di colpa e tutto il resto. Quello che io fisicamente vedo, da torinese e lettore, è lo spazietto riservato ad Einaudi, l’editore simbolo di Torino. Che qui al Lingotto si chiama Spazio Einaudi. Perché l’Einaudi vera è andata a Rho e per contratto non poteva essere anche a Torino. Il risultato è questo stand da esordienti dell’editoria.
Ci sarà pure molta euforia attorno a questo Salone. L’avere affossato l’ingordigia di Milano relegando Tempo di Libri ad una fieretta di paese è indubbiamente motivo di soddisfazione. Ma come la mettiamo con questa manciata di metri quadri destinati al massimo editore nella storia di Torino, questi tre modesti scaffali di libri per l’espressione imprenditoriale della cultura più alta di questo Paese?
Alcuni anni fa sono stato alla City Light Books di San Franciso, per me la libreria mito. Il luogo della storia della letteratura più trasgressiva e passionale e all’avanguardia che allora si potesse immaginare. Nella casa di Lawrence Ferlinghetti (che stava alla cassa come un commesso qualunque), al piano di sotto, fatta una ripida scala a chiocciola, c’era una sezione dedicata alla narrativa italiana. Uno scaffale lungo, che Einaudi occupava quasi per intero. E faceva impressione a noi italiani, un po’ provincialotti, a vedere Primo Levi a migliaia di chilometri di distanza da Torino, nel tempio della cultura internazionale. E allo stesso tempo dicevamo: “Ma guarda che roba!”. Come si chiama? Orgoglio, forse?
Ora, nel 2017 c’è questo spazietto tristissimo, non a San Francisco, ma a Torino, nella città dove Einaudi è nata e cresciuta e dove il mondo ha imparato a conoscerla. Sarebbe lungo trovare un filo sensato che lega i fasti del passato alla modestia del presente. D’altra parte, nemmeno gli storici ci hanno mai pensato, non frega niente a nessuno. Basta leggere qui quello che riporta asettica Wikipedia.
La realtà è che la Giulio Einaudi Editore qui non c’è da tempo, non da oggi. Dal 1994, quando Mondadori ha risucchiato via Biancamano nel mega gruppo di Segrate. E stato un bene? Un male? Un passo inevitabile? Quello che so, è quello che vedo. Il cuore, la testa, il management che decide la linea politica, commerciale ed editoriale di Einaudi è a Milano. Con il risultato parallelo di generare da una parte una fortissima concentrazione nell’editoria libraria e dall’altra a favorire l’abbandono di questa città da parte del suo editore simbolo.
Ora, è troppo facile riportare il caso Einaudi alla cessione de La Stampa al gruppo di Carlo De Benedetti, che ha di fatto generato la più imponente concentrazione giornalistica nella storia d’Italia, portando il cuore, la testa e i polmoni per respirare a Roma. Perciò, non lo farò. Tuttavia, è sufficiente rileggere le righe appena lette fin qui per immaginare il futuro.