Molti e molti anni fa Panorama aveva un caporedattore speciale. Quando gli portavi un tuo pezzo lui gli dava una lettura rapida e a metà pomeriggio ti chiamava al telefono: “Vieni qui, c’è da limare qualcosa”. Tu andavi, ti restituiva i fogli con l’articolo e in un paio d’ore lo rimettevi a posto. O almeno, credevi di averlo fatto. Tornavi alla sua scrivania e il teatrino si ripeteva per almeno tre o quattro volte. E siccome si trattava di un settimanale potevi starci su tutta la notte e riconsegnarlo al mattino. Ma non c’era mai nessuna certezza che andasse bene.
Io in quella leggendaria Mondadori ero un redattore del pruriginoso Dolly e, a tempo perso, scrivevo racconti d’amore per Confidenze. Nelle mie fiction ero quasi sempre una donna di mezza età tradita un giorno sì e l’altro pure dal marito e persino dall’amante. Dunque, il calvario dei pezzi per Panorama mi era estraneo. Ma siccome la mia redazione era al primo piano del palazzo di Niemayer al confine dell’open space con Panorma, vedevo amici e colleghi che uscivano da lì a testa bassa. Qualcuno si sfogava sedendosi davanti alla mia scrivania: “Beato te!”. Hai voglia. Per fortuna mi sono riscattato negli anni successivi.
Quelle furono stagioni leggendarie di Panorama e della vecchia Mondadori di Formenton. Quello era il luogo dove si formavan davvero i giornalisti. Come a La Stampa o prima ancora alla Gazzetta del Popolo o in mille altri quotidiani di questo Paese. Il mondo del giornalismo è costellato di rudi, burberi e incazzosi capiservizio. Tutti oggi abbiamo qualche storia da raccontare, però quando diventi vecchio capisci che quella è stata la tua scuola. Lì hai imparato, lì ti sei formato.
Che cosa avrebbero detto in quelle redazioni del nuovo capitolo “Formazione professionale continua”, il cui regolamento è stato inviato questa settimana agli ordini regionali? Certo, i tempi sono cambiati, il giornalismo è altro rispetto al passato, c’è una legge che pone degli obblighi. L’idea che mi sono fatto però è che l’Ordine nazionale cercasse qualche strada per non perdere il treno dell’informazione che corre sempre più veloce. Sarà dura, forse, dati i tempi di crisi e la fame di lavoro, c’erano altri frecciarossa su cui salire prima.
La formazione non sarà un optional del tipo “chi se ne fotte, sono vent’anni che sgobbo sui titoli, vorrai mica che un docentucolo qualunque m’intrattenga sulla deontologia professionale?”. Ecco, questo non si potrà fare. Tutti dovranno andare a lezione, acquisire crediti, dimostare di avere imparato.
Ho seri dubbi. Molti dicono, lo fanno tutti gli ordini professionali perché i giornalisti non dovrebbero? Perché i giornalisti (quelli che fanno questo mestiere per davvero professionisti o pubblicisti, ogni giorno, che mantengono la loro famiglia perché fanno le notti in una redazione) non hanno bisogno di formarsi in un aula o tenersi aggiornati con un tutor. Si costruiscono da soli e, per quanto non sembri, migliorano nel tempo. Le regole di questo lavoro (anche quelle deontologiche) sono lì dove lavori. Questa professione è un prodotto dell’ingegno, della sensibilità, della cultura. E non ci sono maestri o esperti che possano dire come si fa e che cosa si deve essere. E’ un reciproco scambio di formazione tra quello che tu sai, la tua storia e quella del giornale o del network dove stai. Ogni giorno un passo avanti.
La partenza della formazione è imminente, dal 1° gennaio, in linea teorica. Ogni giornalista dovrà accumulare 60 crediti formativi in tre anni, mica uno scherzo. Buon viaggio.