Sono andato per la prima volta in televisione nel 1960. Avevo sette anni. Il mio compagno di banco era il figlio del direttore della sede Rai di Torino. Un tipo che non mi piaceva tanto, il suo aspetto migliore era appunto suo papà.
La Rai a quel tempo mandava in onda al pomeriggio la Tv dei Ragazzi, c’era un canale solo e in bianconero. I nostri pomeriggi erano una lunga attesa aspettando le cinque, l’ora in cui cominciava il programma. La Rai registrava la Tv dei Ragazzi negli studi di via Verdi a Torino. Erano di fianco al Mole, un piano sottoterra, una specie di cinema con la galleria e la platea per il pubblico. Un vero fantastico grande studio televisivo con i camerini, i truccatori, i costumisti, i tecnici, e quell’odore di aggeggi elettronici e meccanici.
Qui una volta la settimana si registrava Tutti in Pista, programma presentato da Walter Marcheselli. Una volta ho conosciuto anche Anna Campori, la nonna del Corsaro Nero, e Pietro De Vico, il nostromo Nicolino, poi non ho dormito tutta la notte. Il papà di Viarengo assoldava attraverso suo figlio i bambini che avrebbero partecipato alla trasmissione, cercandoli tra i compagni di scuola. Io fui il primo.
Lo studio rappresentava il tendone di un circo e due squadre di bambini si sfidavano in giochi di abilità, d’intelligenza e di forza. Io ero stato scelto per la forza. Su abilità e intelligenza per quanto mi riguardava, lì alla Rai erano un po’ come a scuola: avevano dei dubbi. La mia prova di gioco era l’ultima, dovevo correre a tutta birra su una bici da corsa montata sui rulli, come quelle che usano i campioni per allenarsi, contro un altro bambino avversario. La mia prova era quella decisiva, vincendo avrei riportato la mia squadra (quella degli intelligenti) alla puntata della settimana successiva. Ho trionfato alla prima puntata, alla seconda, alla terza, alla quarta e alla quinta. Ogni volta mi portavo a casa un premio. Il meccano, un trenino elettrico, automobiline varie. Era divertente, anche perché a scuola mi riconoscevano tutti, qualcuno mi chiamava Coppi. Certo la bici era già una mia grande passione.
In via Verdi mi accompagnava mio nonno, l’operaio socialista perseguitato per vent’anni dal fascismo e che nel dopoguerra aveva perso la testa per la televisione. Era stato tra i primi nel 1955 a comprarsi un apparecchio. Lo teneva in camera da letto, armeggiava con l’antenna e guai a dubitare del verbo televisivo, diceva: “E’ tutto vero, l’ha detto la Rai”.
Quando finiva la registrazione di Tutti in Pista mi prendeva per mano e di corsa filavamo a casa. Il tempo di accendere il televisore ed ecco il programma con suo nipote. Mi vedevo pedalare e faticavo a credere che quello fossi io per davvero. Ho smesso di vincere una volta che avevo con quel mio compagno di scuola. Così, ho scoperto che andavo come il vento perché mi tenevano i rulli “morbidi”, pedalavo senza faticare. La volta del litigio me li hanno stretti e il mio avversario mi ha letteralmente stracciato.
Una volta nella Rai di via Verdi ho fatto anche la comparsa vestito da bambino dell’antica Roma. Mi avevano messo una tunica che mi arrivava sotto i piedi. La costumista aveva detto: “A’lè trop cit, cume fuma a vestilu da ruman dal Colosseo”.