giorgio levi

Sono negli Anni Sessanta

Anni Sessanta, non i favolosi. I miei sessant’anni. Sono due giorni che scrivo 60 e provo ad immaginarmi questa età. Per quanto ne so, se in casa non avessi uno specchio o non esistessero le fotogallery su Facebook, potrei averne trenta o quaranta. Anche cinquanta. In realtà non posso nascondere il conflitto tra quanto dice la testa e quanto il fisico risponde. E qui i sessanta ci sono tutti.

Sono volati, davvero. Tutto sembra appena ieri. E invece il tempo fila via, più veloce della percezione che ne abbiamo. Noi pensiamo di camminarci insieme, in realtà lui non ci aspetta nemmeno, quando ci voltiamo a guardare e ci domandiamo dov’è, tutto è già passato. E’ così che va, e nessuno potrà mai farci nulla. Molti mi dicono di godermi questi anni perché in breve non ci saranno più. Lo so, ma non ci riesco, io non mi sono ancora costruito i quarant’anni, sono rimasto indietro, forse il tempo l’ho perso e non so nemmeno bene dove.

In un cassetto conservo il diario che mia mamma scrisse quando sono nato. E’ il mio luogo della commozione. Lo apro una volta all’anno, esattamente in questo giorno, e m’immergo nel passato ed è come se mi tuffassi in mare. E’ un quaderno scritto con la penna stilografica, il 17 febbraio nuoto in quelle parole azzurre e scolorite fino a raggiungere quel punto ormai così lontano da oggi. E’ la mia catarsi annuale, ogni volta più faticosa perchè il tempo non vuole essere ripercorso all’indietro, ma è l’unico modo che ho per rallentarlo dieci minuti.

Bon, anche questa volta è andata, posso cominciare a festeggiare i trent’anni.

Grazie a tutti per gli auguri, siate affamati (nel caso è impareggiabile il Testun stagionato) e felici (cercate la beatitudine in un pino di montagna ben resinato, da abbracciare è puro piacere fisico).