giorgio levi

Dalla parte dell’Occidente e degli Usa. Con la guerra in Ucraina la stampa italiana ritrova un ideale comune

(foto di Алесь Усцінаў da Pexels)

Per quel poco che possono valere le opinioni personali (ma questo è un blog, cioè un diario di chi lo scrive) proverò a dire perché, con la devastante guerra dei russi all’Ucraina, la grande stampa italiana ha ritrovato quegli ideali comuni che contano. E che vanno dalla difesa dei valori della democrazia a quelli della libertà e dell’indipendenza dei popoli contro la tirannide e la violenza di uno stato finito nelle mani di un dittatore che invade, minaccia e persegue obiettivi di distruzione che riportano la Russia ai tempi più bui della sua storia. Mi sono sempre sentito parte dell’Europa, con spiccata simpatia per gli Stati Uniti e per la Gran Bretagna. E non ho ragione di cambiare opinione adesso. Per la prima volta, e non pensavo che potesse accadere, la notizia che la Germania (la Germania!) ha deciso di aumentare la spesa militare non mi ha turbato. Anzi, ben tornata Germania.

Rilevo perciò con piacere che la linea politica dei maggiori quotidiani italiani si sia schierata dalla parte della martoriata Ucraina e del suo sacrosanto diritto di difendere i propri confini. Il gruppo Gedi (La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX e gli altri quotidiani locali) ha fin dal primo giorno sostenuto il presidente Volodymyr Zelensky. Così come Rcs di Cairo con Il Corriere della Sera, che non ha mai avuto in questo mese ripensamenti sulla propria posizione filo Ucraina. Da leggere, oggi domenica 27 marzo, il taglio in prima di Aldo Grasso. Ma anche Il Giornale, di proprietà di Paolo Berlusconi, non ha avuto tentennamenti fino ad ora. Titoli, articoli e fondi sono in difesa della battaglia eroica di resistenza del popolo ucraino.

Anche Il Foglio di Claudio Cerasa ha assunto una posizione netta di contrasto al regime totalitario di Puntin. Sulla querela contro La Stampa presentata dall’ambasciatore russo in Italia Razov, accompagnata da quella frase irritante abbiamo teso (noi russi, ndr) una mano di aiuto agli italiani e se qualcuno vuole mordere questa mano ciò non fa onore scrive: “Mordere la mano che ti ha sfamato, è un’immagine arcaica, da uomo della steppa. Ed è un modo rude, militaresco, per dare dei cani agli avversari”.

Poi c’è uno schieramento di stampa di destra che tiene i piedi in due scarpe, quella che rifiuta la posizione russa per antiche ideologie che richiamano all’Unione Sovietica e quella che attacca Zelensky per non scontentare i suoi lettori che vedono nell’Occidente, ma soprattutto negli Usa, il motore della globalizzazione e quindi un nemico del nazionalismo e del sovranismo. Così La Verità di Maurizio Belpietro (anche editore) che attacca un giorno sì e l’altro pure l’Unione Europea. E Libero (editore l’immobiliarista Antonio Angelucci) di Alessandro Sallusti e Piero Senaldi, che non è esattamente schierato con Putin, ma punta spesso l’obiettivo sulle presunte divergenze tra i Paesi dell’Ue e gli Stati Uniti. Più le beghe di bottega di casa, che gli affari della macelleria di Putin.

Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio fa storia a sè. Travaglio sfugge alle etichette, dopo l’abbandono del M5S, e perciò non è assimilabile ai pro Putin, ma punta sulle incongruenze politiche che ingarbugliano il dibattito sulla guerra. Oggi scrive: “Se pensiamo che Putin, autocrate criminale e guerrafondaio (da 20 anni, però), abbia invaso l’Ucraina per prendersela tutta, ingoiarsi l’intera ex-Urss e poi, novello Hitler, arrivare a Lisbona (l’autorevole Severgnini), dobbiamo essere conseguenti: freghiamocene dei trattati, che ci vietano persino di inviare armi all’Ucraina, e scateniamo la terza guerra mondiale”.

Nel 1915 Luigi Albertini schierò il suo Corriere sul fronte degli interventisti, coloro che volevano che l’Italia entrasse in guerra contro l’Austria. Nel ricordarlo Sergio Romano scrisse qualche anno fa: “Albertini volle l’intervento e lo preparò sulle colonne del suo giornale grazie a una fitta corrispondenza con uno straordinario numero di commentatori politici, corrispondenti, inviati speciali, ministri, parlamentari”. La Stampa, del fondatore e direttore Alfredo Frassati, filo giolittiana, non ebbe esitazioni e si schierò con i neutralisti. Scriveva Frassati in un editoriale: “Il non muovere quando gli altri corrono, il restare inalterati quando gli altri ingrandiscono, è, in politica, effettivo diminuire e decadere. Bisogna impegnarsi. Neutralità, dunque, ma non colle mani nette. Segua il governo liberamente la via che la sua saggezza, la sua chiaroveggenza, la sua conoscenza esatta della formidabile situazione europea gli suggerisce. Il Paese non influirà sulle determinazioni del governo”. Fu una lotta durissima anche in edicola e mai come allora i due quotidiani crebbero in lettori, e vendite che raggiunsero vette mai viste prima.

Certo, i tempi sono cambiati. Questa guerra è ancora lontana da noi. Tuttavia, lo schieramento compatto dei grandi quotidiani rispecchia chiaramente, a differenza di quella lontana guerra, la maggior parte dell’opinione pubblica. La Repubblica, La Stampa e il Corriere ci dicono che si può stare da una parte sola, che non ci possono essere vie di mezzo, e quella parte sta dentro i confini geografici dell’Ucraina e del suo presidente. Anche con l’invio delle armi, perché le guerre saranno maledette, e questa di Putin lo è, ma la pace non si conquista con le fionde e le bandiere arcobaleno, se il nemico che ti ha invaso ti soverchia con cannoni e carri armati.

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