
Secondo quanto pubblicato da nonrubateciilfuturo il cda di Inpgi avrebbe un piano per salvare l’Istituto. Il consiglio è “pronto ad adottare alcune misure eque e socialmente sostenibili volte al riequilibrio dei conti se, unitamente, in un percorso condiviso, il Governo adotterà misure strutturali per la salvaguardia dell’Inpgi”. L’obiettivo è scongiurare “il commissariamento dell’Ente, con le inevitabili ricadute negative sul nostro welfare”. Pertanto “riteniamo necessario impegnarci a sostenere il processo di allargamento della platea degli iscritti con interventi presi in autonomia dal Cda”.
Va ricordato che Inpgi oggi conta su 14 mila giornalisti attivi e ha 10 mila pensionati. Dal 2012 al 2019 in Italia ci sono stati 2.509 contratti giornalistici in meno, sono aumentati di più i giornalisti che vanno in pensione rispetto a quelli che vengono assunti stabilmente. I prepensionamenti, a cui gli editori hanno fatto pesantemente ricorso per almeno 10 anni, hanno ulteriormente indebolito le casse dell’Istituto che ha dovuto far fronte ad una vastissima platea di pre-pensionati (nel 2010 erano sufficienti 58 anni), tutta gente che avrebbe potuto lavorare fino a 65-67 anni contribuendo ad irrobustire le casse della previdenza.
Il bilancio è negativo per più di 250 milioni. E a giugno scade il terzo rinvio concesso dai ministeri per presentare una manovra di risanamento dell’Istituto.
La carta vincente per salvare le pensioni e l’autonomia dei giornalisti italiani “non può che passare dall’anticipo della misura contenuta dal Decreto crescita che prevede, dal 2023, il passaggio all’Inpgi di quanti lavorano a vario titolo nell’ambito dell’informazione e della comunicazione. Tra i quali gli ormai noti comunicatori. Dato e non concesso che desiderino davvero uscire da Inps ed entare in Inpgi. Gli stessi comunicatori il 17 novembre dello scorso anno qui facevano sapere (con un comunicato sic!) di non essere favorevoli al cambio di previdenza.
Ad ogni buon conto ecco le misure eque e sostenibili individuate dal cda che “unitamente all’azione di governo, potranno scongiurare tagli lineari, dolorosi e inutili”.
- Introduzione per 5 anni di un contributo straordinario, pari all’1%, a carico dei giornalisti attivi (nella formula di una maggiore contribuzione previdenziale) e pensionati.
2. Rimodulazione del limite di reddito cumulabile con la pensione, adottando la soglia di 5.000 euro annui.
3. Sospensione delle prestazioni facoltative (superinvalidità, case di riposo, sussidi).
4. Introduzione di abbattimenti percentuali per le pensioni di anzianità liquidate con requisiti inferiori a quelli stabiliti dalla legge Fornero nella misura di 0,25% al mese, ad esclusione di quanti rientrano nella legge 416.
5. Riduzione dei costi di struttura in misura pari almeno al 5% e per quanto riguarda i costi degli Organi collegiali, del 10%.
Aggiornamento. Sul fronte opposto, quasi in contemporanea, Unitàsindacale fa sapere qui che tutta questa manovra è “una operazione di facciata, priva di qualunque sostanza visto che si tradurrebbe in nemmeno 20 milioni di euro di benefici l’anno per un quinquennio, e a cui noi abbiamo detto responsabilmente no. Perché punisce esclusivamente i giornalisti, attivi e pensionati, senza chiedere nulla agli editori, punta quasi tutto su nuove entrate e taglia in maniera minima costi come i compensi degli organi collegiali e del vertice dirigenziale dell’Istituto, ma soprattutto avvicina sempre più il commissariamento dell’Ente, invece di allontanarlo”.
E aggiunge: “E’ chiaro che nessun taglio e nessun allargamento della platea è in grado di farlo uscire dalla drammatica emergenza, salvando le nostre pensioni senza un intervento dello Stato. Ovvero, quella garanzia pubblica (che non significa confluenza nell’Inps, tutt’altro) che la maggioranza continua a non voler porre sul tavolo del governo per non rinunciare ai privilegi (di pochi) che sono arrivati insieme alla privatizzazione”.
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