giorgio levi

Vaccate quotidiane

(photo by brotiN biswaS from Pexels)

Distratto e impegnato dal Premio Pestelli, che ha il compito di promuovere e salvaguardare il buon giornalismo, mi sono perso ieri la vaccata quotidiana. Il Corriere della Sera (edizione di Torino) ha pubblicato l’articolo, che si vede qui sotto, dal titolo Il Google Maps della città di piombo. Un pezzo sulla presentazione di un libro appena uscito e scritto da Marta Barone. Il saggio edito da Bompiani non l’ho letto, ma non è questo il punto.

L’articolista attacca il suo pezzo con questa frase: “Marta (Barone ndr) sosta davanti al Xò Cafè in via Po, al 46, che una volta si chiamava Angelo Azzurro e nel ’77, tragedia nota, una moltov antifascista vi giustiziò per errore lo studente operaio Roberto Crescenzio. Il bar ha cambiato tante gestioni. Ora è moderno, lambiccato”.

Ora passi per lambiccato, che secondo la Treccani vuol dire distillato mediante lambicco. Più com. in senso fig., che rivela eccessivo sforzo, troppo studiato e perciò privo di naturalezza e spontaneità, forse un termine non così cucito su misura per quattro mura di cemento. Però ci sta. Ho un locale lambiccato.

Sono le due righe precedenti che sono la vaccata colossale. La moltov antifascista che giustiziò per errore lo studente opeario. La ricostruzione di una delle grandi tragedie della storia del terrorismo torinese composta alla spera in Dio. Riprendere qui la vicenda dell’Angelo Azzurro sarebbe cosa complessa e porterebbe lontano, in fondo basta leggersi Wikipedia che ne fa una sintesi corretta e soprattutto aggiornata.

Ma quella parola antifascista, invece di terrorista, usata con tanta leggerezza apre una inquietante finestra sulla notte del giornalismo. Ma che idea ci facciamo dell’antifascismo se lo confondiamo con il terrorismo? Allora, se c’è una manifestazione antifascista pacifica e leggittima è come se ci fosse una marcia di terroristi?  E poi da dove viene fuori storicamente che il povero Roberto Crescenzio fu giustiziato per errore? Ma dai.

So benissimo quanto i giornalisti debbano correre tutto il giorno, scrivere mille pezzi, pagati una miseria e quindi inciampare in errori, anche clamorosi, è facilissimo. Anche se una pur modesta infarinatura, per farsi un’idea di quello che si scrive, bisognerebbe averla. Forse. Ma soprattutto, dov’erano il caposervizio, il caporedattore, chi passa i pezzi?

La domanda non avrà risposta.