
(Foto archivio ©Il Times)
Povero John, credeva forse che quell’onda di leggerezza e speranza che aveva accolto la notizia del suo ingresso in Gedi come socio di maggioranza fosse un primo passo verso i grandi mutamenti della Storia del giornale che fu di suo nonno. Quel giorno dell’annuncio si era respirata in redazione a La Stampa, per la prima volta dopo anni di tormenti sindacali, un’atmosfera più rilassata, collaborativa, fiduciosa. I cattivoni dei De Benedetti (pi’ ciula che furb) erano fuori gioco e tornava a casa il ragazzo dei grandi sogni. Poi, come in tutti i mutamenti, si comincia a scavare e la realtà che ne viene fuori è molto meno romantica.
L’azienda ha presentato un piano tagli e ristrettezze e freni a mano tirati assai poco allettante. Già a fine anno sembrava che le cose andassero maluccio. Ora sembra tutto peggiorato. Su 180 giornalisti l’editore chiede 37 uscite, di cui 22 prepensionamenti, all’interno del piano del governo che favorisce gli editori (e inchiappetta l’Inpgi che ha già di suo i conti in rosso). Poi, cassa integrazione per tutti al 15 per cento, tagli agli straordinari e alle domeniche. A fronte di un incentivo di 18 mesi di stipendio e qualche benefit. I contratti recenti, depotenziati, vedrebbero così crollare la loro busta paga. Per contro a Repubblica il piano incentivi prevedeva fino a 36 mesi di stipendio. E noi chi siamo, i figli della serva? Si devono essere detti in via Lugaro. E tutto questo a fronte di un fumoso piano editoriale (impostato sull’online) annunciato e mai dettagliato.
Così, l’assemblea dei giornalisti la scorsa settimana ha bocciato il piano e rispedito al mittente taglio per taglio.
Insomma, a Jaki si può voler bene e accordargli fiducia, ma togliersi anche le mutande per correre nudi alla meta pare un po’ eccessivo.