giorgio levi

Conte ai giornalisti, il premier Nulla

Conte (il premier) va in conferenza stampa di fine anno, moderata dall’Ordine dei giornalisti, nel pieno di una crisi della professione e dell’editoria. E che cosa dice?

1. Primo virgolettato: “Ritengo il giornalismo fondamentale per la democrazia”. Azz, questa non l’avevo mai sentita. A parte Mussolini (che lo sapeva benissimo) tutti gli altri primi ministri dall’unità d’Italia in poi hanno detto la stessa cosa, anche con più vigore dialettico.

2. Secondo virgolettato: “Nessuno gioisce per le difficoltà che una singola testata giornalistica incontra ma c’è un problema di mantenersi con le proprie gambe. In un contesto in continua evoluzione bisogna anche porsi in sintonia con l’evoluzione del mercato. È la regola della competizione e vince chi si mostra più innovatore”. La più banale delle considerazioni, se avesse detto il contrario sarebbe stato un fesso. Chi non vorrebbe mantenersi con le proprie gambe, ma il mercato evoluto dov’è? Il governo qualche risposta potrebbe darla e sostenerlo il mercato evoluto, se ci tiene tanto ai giornali guardiani della democrazia.

3. Terzo virgolettato: “La norma appena introdotta che prevede la possibilità di inserire nelle redazioni profili non giornalistici (il turn over in seguito a prepensionamenti di giornalisti, ndr) non è uno schiaffo alla professione giornalistica che il governo rispetta, ma avviene nella prospettiva di una riconversione digitale e di un rilancio di un’azienda. Una competenza digitale specifica può essere particolarmente utile. Le aziende non sono obbligate ad assumere, ma possono farlo sulla base di un dialogo con i sindacati. Non è una compressione o uno svilimento della professione giornalistica. Di competenze digitali c’è sempre più bisogno”. Ma certo, anche il Paese avrebbe bisogno di più competenze al governo. Tutti abbiamo l’ambizione di essere migliori. Ma il primo ministro non può e non deve delegare alla contrattazione azienda-sindacati il delicatissimo tema della professione giornalistica. Se davvero crede che il giornalismo sia fondamentale per la democrazia. C’è in gioco la legittimazione di una professione, mica la riconversione di un’azienda.

4. Quarto virgolettato: “Per quanto riguarda l’Inpgi non abbiamo affatto inteso commissariare, abbiamo concesso altri sei mesi di tempo per rispettare l’autonomia dell’istituto di previdenza dei giornalisti e da gennaio partirà tavolo tecnico: il governo farà la sua parte, ma anche l’istituto deve fare la sua mantenendo i conti in ordine”. Il tavolo tecnico è tutto da verificare, sta di fatto che al momento, nonostante promesse e impegni, l’Inpgi non è ancora in grado di far entrare figure nuove, assimilabili al giornalismo, che contribuiscano a migliorare i conti. E forse a salvare l’Istituto. Forse. Per ora l’Inpgi entra in una galleria di sei mesi al buio.

Conte 2° alla fine è stato nella sua parte, di temporeggiatore del Nulla. Meglio di Renzi, che, in una conferenza stampa di qualche anno fa, promise di cancellare l’Ordine dei giornalisti, iniziativa magari lodevole, ma nel tempo sbagliato, nel pieno di una crisi pazzesca, con migliaia di giornalisti lasciati allo sbando nelle mani di editori con l’acqua alla gola. Meglio anche dello scorso anno con Conte 1° preso a gomitate dal famelico Di Maio, pronto a tutto pur di togliersi di mezzo la casta.

Il 2020 non sarà migliore del 2019. Ci vorrà ancora coraggio a fare il giornalista. O scegliere di arrendersi all’evidenza perché innamorati di questo mestiere, come lo siamo stati tutti, anche in tempi peggiori di oggi.