giorgio levi

E’ sempre colpa dei giornalisti

Hiroo Onada, l’ultimo giapponese ad essersi arreso, trent’anni dopo la fine della seconda Guerra mondiale

Cerco di stare fuori da questa campagna elettorale, soprattutto dai social, che ormai si sono sovrapposti al concetto di rete, fino quasi ad eliminare la ragione per cui internet è nata e si è sviluppata. Mi tocca dare ragione a Umberto Eco, che considerava le discussioni sui social una specie di dopolavoro alla stregua di un bar o di una piazza di urlatori. Lo consideravo a suo tempo un giudizio affrettato e molto da intellettuale vecchio stile. Per quanto Eco fosse stato in passato un acuto osservatore del maggior fenomeno di massa del secolo scorso e di questo millennio.

Tuttavia, i social hanno snaturato quanto di straordinario internet aveva portato, all’inzio degli anni Novanta, alla conoscenza e alla condivisione del sapere. Ed è la ragione per cui questo blog, che è in rete con un suo indirizzo e una sua estraneità allo sviluppo di Facebook o Twitter,  continua a mantenere la sua indipendenza da questo fenomeno di condivisione di massa.  E’ ovvio che quanto scrivo interessa ad una minoranza, in fondo non raccolgo che qualche centinaio di lettori al giorno (più i 110 resistenti abbonati) e assai modesti like sui social. Forse sono un po’ come Hiroo Onada, l’ultimo giapponese ad essersi arreso, nella giungla delle Filippine, trent’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ma quando questa bolla scoppierà, e prima o poi accadrà, internet sarà ancora lì.

Perché spipazzo inutilmente su questo tema, che ha osservatori molto più preparati di me? Perché quello che vedo non mi piace e perché quando si cominciano a mettere i giornalisti e il lavoro che svolgono nel mirino delle diatribe senza capo nè coda su Facebook, vuol dire che, se non ci fermiamo, arriveremo al punto di non ritorno. Democrazia pilotata e niente informazione sgradita. Una volta si chiamava dittatura.

L’ultimo caso, tra le migliaia di ogni giorno, è quello che riguarda il confronto tra Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) e il direttore del museo Egizio di Torino Christian Greco. Discussione registrata in un video, che ha fatto il giro del mondo, a cui sono seguite deliranti proposte del partitino della Meloni, e dichiarazioni dei sui stessi dirigenti che hanno bollato la notizia come una fake news. Ma ragazzi, lo sapete che cosa è una fake news o a forza di farne uso non distinguete più il vero dal falso? Se Meloni vaneggia davanti a decine di persone con il suo vaniloquio (linko qui il significato desueto del termine, di modo che sia di più facile comprensione) e la stessa dichiarazione viene registrata in un video, come fate a dire che è una fake news?

E’ ovvio che Fratelli d’Italia non è il primo e non sarà l’ultimo, da qui al 4 marzo, a cercare di far passare i giornalisti come terroristi dell’informazione di massa. Lo fa spesso il M5S, lo fa persino Berlusconi, che ha in portafoglio la più grande casa editrice di questo Paese. Figuriamoci un movimento che ha sfruttato il potere della rete per far lievitare il proprio potere politico.

Destabilizzare il lavoro dei giornali per indurre la gente a votare per il proprio partito è una sporca faccenda. La più subdola e arrogante manovra politica degli ultimi cinquant’anni. Arrampicarsi sui social porterà i suoi frutti, alla fine. Perché questo popolo è diventato una forza politica.  Ma l’aspetto deviante è che spesso inneggia a principi spaventosi, come giustificare le botte ad una giornalista della Rai che fa il suo onesto lavoro.

Guardiamoci negli occhi, prima di andare a votare.