Lo so che non è una gran notizia. Un post che avrà pochi clik. Ma fa niente. Qualche volta se ci estraniamo dai nostri cazzi quotidiani non può che farci bene.
Leggo qui su Sir (Servizio Informazione Religiosa) la storia di Ahmed Azebeok, un giornalista della Nigeria fuggito dal suo Paese, che ha trovato in Italia una redazione disposta ad accoglierlo e a farlo lavorare. Professione cronista. Riporto di seguito l’articolo scritto sulla Voce Vallesina, settimanale della diocesi di Jesi. Un pezzo che fa riflettere e che dovrebbe indurci a capire che le porte vanno aperte, non chiuse. Anche nel nostro mestiere.
Tuttavia, quello che mi piace di più è questa fotografia. Osservate Ahmed seduto al tavolo di redazione. Certo, Salvini direbbe “prima gli italiani”. Io dico prima i giornalisti. Come Ahmed.
“Sono immigrato in Italia dalla Nigeria attraverso mille tribolazioni che mi spezzano il cuore ogni volta che la mia mente rivisita quegli scenari”. Inizia così il racconto di Ahmed Azebeok, trentaduenne nigeriano, reporter di un quotidiano nel suo Paese, arrivato in Italia sei mesi fa e dal 26 settembre collaboratore della redazione del settimanale della diocesi di Jesi, “Voce della Vallesina”.
Ahmed partecipa a tutte le attività ordinarie della redazione e ha la possibilità di conoscere la Chiesa e la città di Jesi. La sua esperienza è regolata da un accordo con il “Gruppo umana solidarietà Guido Puletti” (Gus) per favorire l’integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati. Il suo desiderio è riuscire a parlare e capire bene la lingua italiana; per ora in redazione si parla un po’ inglese e un po’ italiano. “Le esperienze che ho vissuto e che sto vivendo – racconta ancora – mi ricordano un detto nigeriano che è meglio aiutare le persone e la società piuttosto che starsene a casa”.
Tra queste esperienze, Ahmed ricorda la partecipazione, lo scorso mercoledì presso il Collegio Pergolesi, alla celebrazione per la prima professione di tre giovani indiani nella congregazione dei Fratelli di Nostra Signora della Misericordia. “La sequenza degi eventi gestiti da sacerdoti cattolici con l’aiuto delle suore mi ha insegnato diverse cose della fede cattolica”, commenta dimostrando apprezzamento anche per l’organizzazione del rinfresco, la qualità del cibo e dei vini. Della biblioteca diocesana dice che è “fonte di conoscenza cattolica”. “Posso sperimentare – conclude – che gli italiani non sono razzisti” e “posso tornare a sentirmi un giornalista come ero in Nigeria e stare in una redazione”.