giorgio levi

Chi votiamo all’Inpgi. Boh. La pioggia di mail e una propaganda elettorale con toni da guerriglia ha confuso tutti

snoopy

I candidati Inpgi mi sa che questa volta si sono giocati un po’ di voti. L’ insopportabile invasione di mail (e di virus connessi), d’interventi su fb e su twitter, di campagna elettorale nei gruppi di discussione, di propaganda a pesci in faccia, di recriminazioni e accuse, ha superto ampiamente il buon gusto. Per la prima volta in tanti anni di votazioni della categoria ho persino ricevuto lettere in versione cartacea. La postina mi ha detto: “Lo sa che ha alcune LETTERE nella buca?”. Da anni il condominio non ne vedeva.

In certe mail i candidati hanno pensato bene di renderci noto anche il proprio faccione. Fighissimi. Seduti davanti ad un computer (d’epoca), in maniche di camicia, la cravatta allentata, l’aria di chi sa come mettere a posto i conti dell’Inpgi. Ma che ci frega? Dimmi che sei diplomato in ragioneria e che poi per una serie di disgrazie hai fatto il giornalista. Magari mi convinci.

L’insistenza, i toni da guerra, il vittimismo, l’arroganza, la voglia di decapitazione, il sogno di una ghigliottina collettiva, il dire e non dire, il ficcarci nella testa l’ansia della fine imminente (dell’Inpgi eh). E allora no, così non va. Mi sono quasi  convinto ( e con me molti altri) che astenersi da questo voto sarebbe la migliore risposta a questa ondata di insopportabile prevaricazione postale e mentale.

Il fatto poi che non esistano liste con una chiara indicazione politica o programmatica complica il tutto. Ognuno di noi può votare a seconda della categoria di appartenenza: i giornalisti attivi votano per gli attivi,  i giornalisti passivi per i pensionati. Ma della stessa categoria fanno parte candidati di idee e progetti e programmi totalmente diversi l’uno dall’altro.  Dunque, o sai chi sono, o ciccia. E molto spesso è ciccia.

Il mio indirizzo mail è il medesimo da quando esiste Google, è pubblico da almeno 15 anni, tutti sono liberi di scrivermi. Più mi tempesti di messaggi, più mi stai sulle balle. E per capirlo non c’è bisogno di frequentare un master alla Columbia University o una stage di ufficio stampa alla Procter&Gamble.

So che alla fine voterò lo stesso. Una faccia conosciuta con l’idea che l’Inpgi va salvato ad ogni costo, che non tutto ciò che è stato fatto è da buttare via, che gli onesti ci sono anche in mezzo ai disonesti. Mandiamoli tutti a casa è un messaggio che non mi piace, nemmeno in politica.  L’integralismo non paga e invece noi abbiamo bisogno che tutti i mesi l’Inpgi paghi a noi (e a quelli che verranno) la stramaledetta pensione.

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