Sulla Stampa di oggi 31 dicembre c’è l’addio di Mario Calabresi alla direzione del giornale. Un pezzo ben scritto, come sempre, di orgoglio personale. Cita alcuni dei suoi collaboratori, altri no, e so che cosa sono i mugugni. Ma è così, pochi direttori suscitano entusiasmi collettivi tra i giornalisti al momento dell’abbandono.
Ho avuto così tanti direttori che nemmeno li ricordo tutti. Qualcuno però sì. Il primo nel 1972 fu Umberto Allemandi, che allora dirigeva BolaffiArte, un magazine all’avanguardia per quei tempi. Umberto era un direttore competente, entusiasta e ricco di progetti, tant’è che pochi anni dopo fondò una sua casa editrice che oggi, nel campo dell’editoria dell’arte, è tra le prime al mondo. Avevo 20 anni e sognavo così tanto, senza sapere che non non sempre fa bene.
Ne sono arrivati altri, di direttori. Qualcuno un po’ cialtrone, altri validissimi. Ho avuto rapporti conflittuali quasi con tutti. Dopo tanti anni penso che sia stata colpa mia. Mah.
In Mondadori ricordo Gaudenzio Capelli, direttore di Topolino, giornale che ho amato moltissimo. Gaudenzio era un vero gentiluomo alla milanese. Educato, cortese, onesto. Arrivavo dal fallimento di Retequattro e mi ha accolto a braccia aperte.
In perenne conflitto invece sono stato con Vera Montanari e Carla Vanni, due monumenti dell’editoria mondadoriana che sono state direttore di Grazia, seppur in tempi diversi. Vera era coltissima e aveva una scrittura d’oro, ma ci siamo incontrati nel pruriginoso Dolly, settimanale per adolescenti inquiete che non era esattamente il posto giusto per me che allora avevo poco più di trent’anni e nessuna tendenza allo sfrucuglio femminile di lettrici quindicenni. Con la Vanni invece non c’è stato proprio niente da fare. I miei anni di Grazia sono stati un calvario professionale, non ci siamo mai potuti soffrire. L’ho torturata ben bene quando sono entrato nel Comitato di redazione, ma lei era fatta d’acciaio e alla fine non ha vinto nessuno.
Tra i peggio non posso non citare il pessimo Sandro Liberali, che in Mondadori dirigeva Autoggi. Siamo arrivati allo scontro fisico. E tra una minaccia e l’altra me ne sono andato in pochi giorni.
Tra i “buoni” ricordo Luigi Carletti de La Provincia Pavese che mi spedì nei luoghi dell’alluvione nel novembre del 1994, mai un taglio ai pezzi, mai una contestazione, quei reportage sono stati una delle migliori soddisfazioni della mia vita di lavoro.
Tra i cattivi, sotto il profilo umano, ha un posto d’onore Giulio Anselmi, che mi prese alla Stampa con queste precise parole: “Fosse stato per me non ti avrei mai assunto”. A lui ( e a molti di questi che ho citato) ho dedicato un capitolo del mio “Volevo essere Jim Gannon” e lì c’è tutto quello che c’è da sapere.
E poi altri ancora, iracondi e dall’ego smisurato, minuscoli di scrittura e pronti a vendersi. Siccome però è l’ultimo dell’anno non me la sento di aggiungere altro. Si dice molti nemici, molto onore. E’ vero. Certo, un po’ meno nemici ogni tanto mi avrebbe fatto bene. Ma la vita è così. L’importante è stare come alberi con buone radici e ben ritti in piedi.