Maurizio Molinari, corrispondente de La Stampa da New York per 13 anni, è da qualche settimana a Gerusalemme. Una scelta perfetta. Finalmente La Stampa destina al posto giusto l’uomo giusto. E con Gerusalemme non è sempre è stato così. Molinari e Claudio Pagliara (Rai, il migliore cronista televisivo in quella terra così tormentata) possono costituire davvero l’eccellenza del giornalismo italiano nel mondo. Lo sanno al NYT, lo sanno alla Cnn.
Io posso dire invece che quando all’inizio degli anni Duemila ho collezionato il primo degli estenuanti e lunghissimi contratti a termine con La Stampa il direttore mi aveva destinato alla redazione Esteri, guidata allora da Mario Varca (al quale ho dedicato un capitolo del mio libro). Il pomeriggio che sono entrato in quella redazione di via Marenco ero strafelice e con una agitazione dentro che mi correva dalla testa alle gambe e viceversa e viceversa. Insomma, ero agli Esteri! Fino ad allora (a parte i dieci anni di Mondadori) ero stato soprattutto un giornalista di provincia, avevo battuto a tappeto le brume della Lombardia e il gelo del Piemonte. Che ne sapevo del mondo?
Appena tre giorni dopo che sto seduto alla mia scrivania i colleghi mi segnano di “lunga”. Ovvero, quella notte fino all’1,30 (ora di chiusura definitiva del giornale) sarò l’unico redattore degli Esteri in redazione, l’ultimo a uscire, quello che ha la responsabilità degli aggiornamenti delle notizie in pagina. In genere si aspetta qualche settimana prima di affidare un incarico così al primo sconsiderato giornalista di provincia, ma lì eravamo talmente ridotti di numero che andava bene tutto. Persino io. Prima di uscire Mario Varca mi dice: “C’è un pezzo di Molinari in pagina, Maurizio deve aggiornarlo, chiamalo a mezzanotte e un quarto precise”. Così, come se niente fosse.
Molinari? Ma lui sa chi sono io, un insignificante contratto a termine? E che cosa gli dico? Nelle due ore che mi separano dalle 0,15 precise mi leggo, rileggo e rileggo la corrispondenza di Molinari. E’ vero, c’è una notizia su Bush che va certamente aggiornata nella seconda edizione del giornale, la differenza del fuso orario con New York non consente di essere sempre sulla notizia alle 23,30, quando chiude la prima.
Alle 23,31 salgo in mensa da Enzo, al secondo piano. Ho il telefonino in tasca e ho detto al centralino che andavo a mangiare. Si sa mai. Enzo mi avvelena con una specie di cavolfiore maleodorante e alle 23,45 prendo il caffè e rapido come un fulmine d’estate torno al mio posto in redazione. Alle 0,12 ho già il telefono in mano e alle 0,14 quando sto per chiedere al centralino di chiamarmi Molinari, squilla l’apparecchio. “Levi? E’ Molinari da New York, prendilo”. Alle 0,14, capito? Un minuto esatto prima dell’ora stabilita. Se la metà dei corrispondenti (dall’Italia, dalle province, dal globo intero) fossero altrettanto precisi sull’orario i giornali risparmierebbero la metà dei quattrini che investono ogni anno. Invece.
Molinari è gentilissimo, veloce, sa di chi sono (o forse di finge, ma è una persona educata), mi dice che in quel momento mi sta mandando una mail di aggiornamento, che con quella posso correggere il pezzo della prima edizione e se per cortesia (per cortesia!, ho trovato corrispondenti locali che s’incazzavano perché gli correggevo l’italiano) lo posso richiamare per leggergli la versione definitiva. Mi faccio sbloccare in tipografia la pagina, tolgo il vecchio e aggiungo il nuovo, me lo rileggo una quindicina di volte e richiamo. Molinari (sempre con il suo tono di voce pacato e la sua “r” pizzicata) mi ascolta, non cambia più nulla, mi augura la buona notte. Sarà così per tutto il tempo che resterò agli esteri. Se Minzolini avesse avuto la metà dell’educazione e del senso di civiltà di Molinari in quel giornale, e in quegli anni, si sarebbe vissuto meglio.
Ecco, perché credo che Molinari ci regalerà grandi reportage da Israele. Lui come Pagliara sono giornalisti in grado di spostare le vendite di un giornale o di far scegliere la tv di Stato, perché lì si leggono e ascoltano notizie e non propaganda. Quante volte abbiamo comprato il Corriere della Sera per leggere un pezzo di Ettore Mo? O ci siamo incantati con la meravigliosa scrittura di Oriana Fallaci? O ci siamo persi nella bravura e nel coraggio di Domenico Quirico? Molinari è così, e forse era proprio Gerusalemme la sua destinazione migliore.