giorgio levi

Inpgi, l’inevitabile crac

(foto archvio ©IlTimes)

Leggo in questi giorni i numerosi commenti, tweet e articoli sulla notizia dell’imminente passaggio di Inpgi in Inps. C’è chi sottilizza anche sui verbi. La dizione corretta, secondo alcuni, sarebbe passerebbe, perché di bozza si tratta fino a quando non verrà approvata la manovra finanziaria del governo. E’ una minuzia, tutti sappiamo che la decisione sull’Inpgi è presa e nessuno, tra gli addetti ai lavori, ha manifestato l’intenzione di spostare nemmeno una virgola. Dunque, è corretto dire al presente che l’Inpgi si scioglie in Inps. Aggiungo, per fortuna dei pensionati di oggi e di quelli di domani. Resterà (per ora) com’è adesso Inpgi 2 (i collaboratori) che ha i conti in ordine.

Quello che è certo è che tutto si ridimensiona. Ci vorranno un paio d’anni perché il passaggio sia completato, ma da subito Inps assumerà il controllo delle operazioni, pur in collaborazione con gli attuali vertici di Inpgi. Inps diventerà anche proprietaria del patrimonio immobiliare e l’Ente previdenziale di Stato ha già annunciato che dei 200 dipendenti di Inpgi ne assumerà 100.

Dunque, comincia a breve la smobilitazione. D’altra parte con 250 milioni di disavanzo annuo in rapida crescita e con un deficit superiore al 50% che si poteva fare? E’ ovvio, e qui sono tutti concordi, che questo disastro non può essere imputato unicamente alla gestione della presidente Macelloni e del suo Cda. Bensì in parte alle precedenti gestioni, ma soprattutto alla politica degli editori che hanno letteralmente desertificato le redazioni, mettendo in pensione anticipata il grosso della forza lavoro e assumendo pochissimo o nulla, facendo spesso carta straccia degli accordi integrativi sindacali o applicandoli al come viene viene. Compresa l’idea d’introdurre nelle redazioni ingegneri esperti di web con contratti diversi da quello giornalistico.

Su questo punto Il Riformista ha scritto: “Sarà anche un bel mestiere fare il gazzettiere, ma da adesso in poi bisognerà farlo senza l’Inpgi, l’istituto di previdenza privato dei giornalisti. L’Inpgi era sull’orlo del fallimento e finirà nell’Inps, la previdenza pubblica a partire dal primo luglio dell’anno prossimo. Ma in realtà ci è già finito perché si trova da subito sotto il controllo dell’Inps. Il consiglio di amministrazione dell’Inpgi non può prendere nessuna decisione autonomamente.

A pagarne le conseguenze saranno i colleghi che hanno ancora un bel po’ di anni di lavoro da fare prima della pensione perché i meccanismi della quiescenza con l’Inps sono molto meno remunerativi rispetto all’Inpgi. Da questa storia non esce bene nessuno. E in prima fila c’è l’Inpgi che da un quarto di secolo si è fatto depauperare, subendo in silenzio, da una quantità infinita di stati di crisi richiesti dagli editori e concessi dai vari governi dopo che la stessa politica aveva stabilito la possibilità di accedere all’aiuto pubblico anche solo in previsione di un mero calo della pubblicità.

Gli stati di crisi consentivano e consentono tuttora di prepensionare giornalisti con ottimi stipendi le cui posizioni vanno a pesare sulle casse dell’Inpgi, sgravando quelle delle aziende che in pratica si ristrutturano a spese dell’istituto previdenziale dei dipendenti. L’Inpgi ci rimette moltissimo perché i pochi nuovi assunti incassano stipendi molto più bassi dei loro predecessori versando di conseguenza contributi di valore largamente inferiore“.

Tuttavia, ci sono state in questi giorni dichiarazioni sgradevoli della presidente Macelloni, che in questi mesi aveva assicurato che mai e poi mai l’Inpgi sarebbe confluita nell’Inps. Inventadosi anche la manovra dei presunti 14 mila comunicatori prima e dei poligrafici poi. Categorie di lavoratori in Inps che avrebbero dovuto trasferirsi in Inpgi. Macelloni ha ricevuto qualche schiaffo (chi accetterebbe di entrare in un ente previdenziale sull’orlo del fallimento?) e il progetto è tramontato. Anzi, il governo, in sede di commissione mista, non l’ha nemmeno preso in considerazione.

Ora Macelloni si accredita il merito di aver trasferito senza danni, e senza ricorrere al commissariamento, le pensioni dei giornalisti dipendenti in Inps. E’ vero, le pensioni in essere non verranno toccate. Ma la domanda è: perché per anni i vertici sindacali e di Inpgi l’hanno sbandierata come la roccaforte della libertà e dell’indipendenza dei giornalisti e adesso si lodano di averla smontata?

Infine, qualche dato economico sui compensi di Inpgi, che ricavo da un articolo di Puntoeacapo: “Macelloni ha continuato a ricevere il suo compenso di presidente nel 2020, che è stato di 235.752 euro lordi. Così come il direttore generale dell’istituto, Mimma Iorio, che nel 2020 ha percepito 231.796 euro lordi. Le cifre sono pubblicate nella sezione trasparenza sul sito dell’Inpgi”.

Poi c’è il delicatissimo tema del sindacato, che riceve sovvenzioni annuali da Inpgi che “versa alla Fnsi e alle associazioni regionali di stampa 2,47 milioni per servizi resi. Quest’obolo è incomprimibile, non è stato tagliato nonostante la crisi dell’istituto. E’ previsto anche nel 2021″.

Ma c’è di più: “In tre anni l’istituto ha speso 707.256 euro per pagare lo stipendio a Macelloni. La somma sale a circa 3,64 milioni considerando i compensi totali del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, le trasferte e rimborsi spese (inclusi 270 mila euro per le elezioni nel 2020”.

Altri 700 mila euro circa sono stati spesi per lo stipendio del direttore generale Iorio, che nel 2020 si è aumentata la retribuzione di 18 mila euro per aver assunto anche le funzioni di dirigente del servizio immobiliare, dopo che il precedente responsabile è andato in pensione”.

In totale, fatti tutti conti della spesa, in tre anni sono stati impiegati 11,7 milioni.

Diciamo che un gesto sul taglio di stratosferici compensi sarebbe stato gradito, non abbastanza per coprire il buco, ma anche i pensionati, ai quali qualche anno fa venne chiesto un contestatissimo quanto inutile obolo per tenere a galla il Titanic, lo avrebbero capito.

Ah, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella guadagna 239 mila euro lordi all’anno. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden circa 270 mila dollari. Il presidente di Inps Pasquale Tridico 159 mila euro lordi. Che povero.

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