Continua a La Stampa lo sciopero delle firme. Sembra insanabile la spaccatura tra la redazione e il direttore. Per ora tramonta l’ipotesi di un voto di sfiducia a Molinari. Atto del tutto formale, così come lo è la fiducia al momento dell’insediamento, che non può avere, a norme di contratto, riflessi sulla conduzione del giornale. Un atto politico, insomma. Del quale, però, gli editori dovebbero tenere conto, anche se in realtà se ne sono sempre battuti allegramente.
Il contrasto è oggi ancora più evidente. In un comunicato il Cdr scrive: “Il Comitato di redazione de La Stampa esprime sconcerto e preoccupazione nei confronti del direttore Maurizio Molinari, che per l’ennesima volta ha dimostrato scarso rispetto verso la rappresentanza sindacale e, quindi, tutto il corpo redazionale, scavalcando i ragionamenti in atto in vista dell’attuazione del nuovo piano digitale, che prevede pesanti tagli alle buste paga e trasferimenti. Un comportamento che il Cdr censura con fermezza, auspicando un immediato ripristino delle corrette relazioni sindacali, indispensabili per traghettare, sì, il giornale nel futuro, ma garantedo la qualità dell’informazione e i posti di lavoro. Il Comitato di redazione respinge dunque il metodo dell’imposizione che nega ogni sereno confronto tra il direttore e i suoi giornalisti. Prosegue lo sciopero delle firme”.
La tensione è alta, anche perché il direttore stesso aveva programmato un incontro per oggi (venerdì 21) con il Cdr, sembrava a prima vista un’apertura ad un confronto sui tagli alle buste paga e ai trasferimenti. Invece ieri (20 febbraio) è arrivato l’ordine di servizio definitivo, saltando tutte le mediazioni. Con questo continuo riferimento al contratto di lavoro, sembra scritto da un amministratore delegato, non da un direttore. Così, sempre rieri, il Cdr ha convocato un’assemblea urgente e da qui il comunicato apparso oggi sul giornale.
Il direttore ha dunque confermato, con questo ultimo ordine di servizio, il traghettamento del giornale (a partire da marzo) dall’attuale forma cartacea e online verso il cosiddetto Digital First. Tuttavia, le scintille non riguardano tanto i contenuti della rivoluzione (orari, mansioni, riduzione del giornale cartaceo a 32 pagine, prevalenza dell’informazione online rispetto all’edicola) quanto la metodologia usata per raggiungere gli obiettivi. In altre parole, una rivoluzione necessaria ma non fondata su investimenti dell’editore, che non sono mai stati esplicitati, nemmeno dopo l’acquisizione di Gedi da parte di John Elkann. Un piano interamente fondato sui tagli alle buste paga dei dipendenti. Dal compenso domenicale agli straordinari.
Poi c’è il punto più delicato. Il trasferimento, senza alcuna mediazione sindacale, di 8 giornalisti (6 sono donne) dalla redazione di Roma a quella di Torino. Un atto che è stato visto come un’imposizione antistorica rispetto alla tradizione sindacale della Stampa. E più in generale sarebbe corretto che un direttore si sedesse attorno ad un tavolo con i diretti interessati. In genere, in questo mondo selvaggio, non lo fanno mai. Tutti i trasferimenti di questi ultimi anni (basti ricordare il caso Sky) sono stati fatti senza tante carinerie.
Il Cdr ha un mandato per 5 giorni di sciopero, di questi 2 sono già andati in porto. Ne restano 3, ma la verità è che nessuno riesce a capire le ragioni di questo braccio di ferro voluto dall’azienda. E’ un viaggio al buio. Per ora prosegue lo sciopero delle firme, che a Molinari non piace niente, e che lascia liberi soltanto i collaboratori, che hanno mostrato comunque una generale adesione. Oggi Sorgi e Riotta hanno firmato. Cos’è, una forma di controsolidarietà?
La domanda finale è: può un editore proporre una rivoluzione storica di questa portata senza un piano d’investimenti, puntando soltando su tagli agli stipendi e richieste di pre pensionamento?
Il New York Times nel triennio 2016-2019 aveva investito già 50 milioni di dollari per espandere il proprio pubblico digitale. Nell’ultimo trimestre del 2018, il Nyt aveva annunciato 265.000 sottoscrizioni digitali in più, chiudendo l’anno a quota 3,4 milioni su un totale di 4,3 milioni. Con 120 assunzioni nella divisione news portando il totale dei giornalisti a 1.600, il livello più alto della sua storia. Il Times nel 2019 era già a quota 4,3 milioni di abbonati, di cui 3,4 milioni solo digitali. L’obiettivo sono 10 milioni di abbonati nel 2025. Al ritmo di 815 mila abbonati in più all’anno. Ma i dati di oggi sono migliori delle previsioni di due anni fa.
La chiave è tutta qui: denaro e assunzioni. Facendo pagare la rivoluzione ai dipendenti è come voler far giocare Messi in Promozione e puntare alla Champions, non la vincerai mai.