giorgio levi

Ma davvero credevate che Facebook fosse una passerella per cagnolini e gattini? Perché questo blog sta fuori dai social e cresce su internet

In fondo non c’è mai fine allo stupore. Perché i fiori fioriscono, perché la neve nevica, perché il mare è salato, perché ci sono milioni di persone che s’indignano leggendo gli scandali legati a Facebook? Lo stupore collettivo. La domanda è: ma davvero credevate che Fb fosse una passerella per cagnolini e gattini? O per le foto delle vostre grasse gambe in piscina d’estate? O dei vostri bimbetti che gattonano tra le risate compiaciute dei nonni? Davvero non pensavate che fosse una gigantesca caserma con qualche milione di pervertiti e di malati di mente che se ne stanno acquattati tutto il giorno a spiare nei vostri profili? Davvero credevate questo?

E voi che esprimete un’ora sì e l’altra pure le vostre idee politiche, che v’infuriate perché avete raccolto solo 10 like e i vostri “amici non capiscono un cazzo”, non sentite l’afflato dell’orgoglio di sapere che la vostra opinione è stata oggetto di una compravendita miliardaria di dati? Siete tutti dei piccoli Scalfari. Echeccazzo, siate felici!

Se avete pensato tutto questo, siete dei creduloni  e anche dei fessi. Sto su Fb dall’inizio, quando il programma era ancora in una fase di sperimentazione.  Qualche centinaio di iscritti. In genere vecchi pionieri della rete che osservavano il social come una evoluzione dei newsgroup, il primo tassello di aggregazione di internet, quando i sistemi di navigazione ancora non esistevano e lo schermo del computer era nero con diodi verdi.

Si capiva già allora che Facebook raccoglieva l’intuito dei newsgroup e lo sviluppava all’infinito. Era il coinvolgimento totale, la chiave per mettere insieme milioni di persone che nel tempo si sarebbero abbandonate nude al suo sistema di aggregazione. Ciò che però era chiaro era che ciascuno di noi avrebbe corso dei rischi, si sarebbe svelato, più o meno parzialemente, ma in modo abbastanza sufficiente a Fb per raccogliere quello che era a loro, e ad altri, necessario sapere.

Personalmente ho accettato le regole del gioco fin da quel lontano inizio. Quasi nessuno dei miei post su Fb ha delle restrizioni. Sono tutti pubblici. Dei quasi 2 mila amici che ho registrato ne vedo al massimo un centinaio al giorno. Ma dieci anni fa ne leggevo il 100%. Vuol dire che il sistema si è evoluto, che gli algoritmi sono stati modificati, che il titolare della ditta sfrutta per interessi suoi (e di altri) un serbatoio d’informazioni palesi di più di 1 miliardo di utenti. Che nella maggior parte dei casi sono destinati ad aumentare le risorse pubblicitarie e il prezzo a cui il social vende i suoi spazi. Come pensavate che Mark Zuckerberg fosse diventato l’uomo più ricco del mondo? Titillandosi tutto il giorno con il suo profilo? Poi dollaro tira dollaro e c’è voluto un secondo a capire che quei dati, che noi gli abbiamo regalato senza preoccuparci di tutelare i nostri interessi privati, sarebbero stati un’altra ottima occasione per far crescere il patrimonio di famiglia.

Ecco, perché mi stupisce lo stupore. Questo non è un convento di clarisse e se si decide di spiattellare tutta la propria vita ad altre centinaia di persone (che si moltiplicano per decine di milioni)  si dovrebbe essere consapevoli del rischio che si corre. Basterebbe soffermarsi sul significato della parola globale, per capire.

Ecco perché questo blog non sta su Fb, ma lo usa come traino per le notizie che pubblica. Facebook è una locomotiva, non tutto il treno. In questi 10 anni il concetto di social si è sovrapposto a quello di internet. Per moltissimi sono la stessa cosa. E’ un grave errore, che prima o poi pagheremo. La rete non è Facebook e questo piccolo blog ne è la dimostrazione. Quando le azioni del social crolleranno e Mark Zuckerberg deciderà di vendere o di uscire dal mercato, il resto di internet resterà dov’è. Perché la rete è questa, non la bolla che oggi ci scandalizza tanto.