giorgio levi

La bufala della bidella ha fatto il giro dei principali quotidiani, senza che nessuno verificasse la notizia. Ma come funziona oggi il lavoro nelle redazioni dei giornali schiavi di Twitter, Tik Tok e Facebook?

D’accordo, l’avevamo capito tutti che la storia della bidella di Napoli era una bufala o quasi. Il punto non è questo. E nemmeno il caro affitti di Milano che è più esoso ma simile a quello di Torino o Bologna o Roma. Dove ci sono lavoro e università le case costano. Per quasi 10 anni ho fatto il semi pendolare Segrate-Torino. E tra affitto di uno schifosissimo monolocale a Milano, benzina, autostrada, costo auto o treno nei fine settimana mi mangiavo l’intero stipendio da redattore ordinario. Ah, qualche volta dovevo anche mangiare qualcosa di più commestibile.

Tuttavia, il punto è un altro ancora. E risponde a due domande: ma come cacchio si lavora nei giornali? Com’è che questa stupida notizia ha fatto il giro delle più titolate testate e a nessuno è venuto un dubbio sulla sua fondatezza e tutte l’hanno ripresa come se fosse attendibile?

Per natura tendo a difendere sempre i colleghi giornalisti, soprattutto quelli che hanno i piedi in bilico sull’ultimo gradino della scala gerarchica con qualche capo che gli fiata sul collo perché non c’è tempo per pensare, e meno ancora per verificare. Perché l’unica cosa che conta è arrivare primi in rete e sui social.

Perciò non è da dove è partita la notizia, è come ha fatto ad arrivare a compiere il giro completo del panorama giornalistico italiano, senza un plissè di verifica, che dovrebbe preoccuparci. E’ la catena di comando che fa acqua. Il disgraziatissimo giovane giornalista davanti ad un video, pressato, e spesso cazziato può benissimo (diciamo così) confondere papa Ratzinger con Anthony Hopkins.

Ma i capiservizio, il caporedattore, i vice dei vice, e persino un qualche vicedirettore dove sono? E tutti quei titoli bislacchi che ci fanno sorridere, ma che sono il segno tangibile di una noncuranza professionale e di una mancanza di rispetto verso i lettori, chi li vede prima che il meschino redattore schiacci un tasto e li mandi online?

Della risposta non c’è bisogno. Quella che Anselmi definiva sciatteria è il frutto dei tagli che gli editori hanno imposto nel tentativo, per ora assai vano, di tornare a far quadrare i conti. Così, sono sparite tutte quelle figure intermedie che lavoravano per far sì che il giornale non diventasse una barzelletta.

C’è un rimedio? Dimezzare l’ansia di essere i primi ad arrivare in rete e dunque sui social con una notizia. Nell’era di internet non è semplice, è ovvio. Tuttavia, un primo passo si potrebbe fare. Uscire tutti insieme (quotidiani, tv, agenzie) da Facebook, Instagram e TikTok. Via, fuori. Abbandonare questo terreno infido e dedicarsi al lavoro vero, che deve andare di corsa ma senza per questo schiantarsi alla prima curva.

Vuoi leggere una notizia? Vai sul sito di chi t’informa, paghi il tuo abbonamento e leggi. Costa caro? Vai in edicola, la carta c’è. Troppo cara? Beh, cazzi tuoi. Piazzati su un social e resta ignorante.

Credit

Fotografia Wikipedia Bufala di Paestum ottima per la mozzarella.

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