In fin dei conti questo tour di presentazione del mio libro è un viaggio per incontrare amici, rivedere colleghi e conoscere altra gente. E’ un viaggio di baci, di abbracci, di strette di mano. Di confidenze, di ricordi, di speranze. E’ un viaggio dove parli con tutti, racconti le tue storie e ascolti quelle degli altri. Dei giovani colleghi e dei vecchi. E’ un viaggio per stare insieme, per sentirsi vicini, per avere la sensazione anche fisica che gli altri esistono. Ecco, questo mi piace molto. E’ vero che l’editore che mi accompagna deve vendere (e io sono assolutamente d’accordo) ma è anche vero che lo stare insieme e guardare gli altri negli occhi, commuoversi o sorridere non ha prezzo.
Ad Asti ho conosciuto Luigi Garrone, ha 88 anni, è il decano dei giornalisti della città. E a quella età è ancora il corrispondente dell’Ansa. Una roccia, un po’ curioso con quel cappello che non leva mai dalla testa. Alla libreria Mondadori si è seduto davanti a tutti, ha ascoltato, ha raccontato qualche episodio dei suoi anni ruggenti di cronista, ha acquistato una copia del libro. Poi è venuto da me perché glielo dedicassi. Ho scritto: “Al maestro e amico Luigi Garrone”. Si è messo il libro in tasca ed è uscito con il passo di un ventenne dalla libreria.
Questa mattina presto mi chiama. Si è fatto dare all’alba il mio numero da Sergio Miravalle, che ha presentato il libro. Garrone mi dice: “Sono Luigi, volevo soltanto dirti che tutta la notte ho letto il tuo libro. E’ meraviglioso. E’ scritto alla perfezione. Sei proprio bravo. Sai, alle volte compri un libro di un giornalista e alla prima pagina cominci a sbadigliare e alla seconda dormi come un ghiro. Ecco, volevo solo dirti questo, ti auguro ogni bene”.
Il mio Volevo essere Jim Gannon non andrà mai da Bruno Vespa o da Fabio Fazio, i piccoli editori trovano molte porte chiuse, ma io non saprei che farmene dei complimenti untuosi di Fazio.
Io ci tenevo a Luigi Garrone, invece. Perché ci sono pensieri e parole che non hanno prezzo. Come le sue.