giorgio levi

Intelligenza artificiale, che meraviglia

Mi sono fatto prendere dall’Intelligenza artificiale. Mi piace moltissimo. La stresso un po’, ma voglio vedere fin dove con lei posso arrivare.

Mi era stato chiesto di scrivere un pezzo sul mercato editoriale per ragazzi. L’ho girato ad AI. E’ andata così.

1. Chiedo ad AI di scrivere l’articolo. Il tema è editoria per ragazzi. Lei lo scrive. Tempo: 25 secondi. Qualità italiano: ottima. Qualità contenuto: discreta, è incompleto.

2. Chiedo ad AI di aggiungere dati e cifre aggiornati su quel mercato editoriale. Nuovo articolo. Tempo: 20 secondi. AI mi porge statistiche, cifre e dati aggiornati al 2020/2021, citando le fonti per ciascuna. Quelle italiane arrivano dall’AIE e sono del 2022, Fiera di Bologna. Le internazionali dall’Ocse.

3. Siccome non mi basta chiedo ad AI di trovarmi dichiarazioni di editori o addetti ai lavori. Insomma, qualcosa di curioso con cui forse potrei aprire l’articolo. AI non conosce il significato di curioso (in questo contesto) e confonde un po’ le dichiarazioni. Ma tre o quattro virgolettati sono ottimi e recenti.

Alla fine chiedo ad AI di mettere insieme il frutto delle sue ricerche. Tempo: 15 secondi. Lo sa fare, ma in modo incompleto rispetto ai risultati forniti ad ogni ricerca singola. Ma soprattutto AI è meccanica nella testa: non sa che un articolo ha una apertura e una fine. Colloca i dati tra un paragrafo e l’altro senza una connessione con quello che c’è scritto, e così è con i virgolettati.

Risultato: scrive meglio di tanti zampettanti di professione, in un ottimo italiano senza refusi, errori e coniuga i verbi in modo corretto. Al presente, come piace a me. Insomma, ci si potrebbe fare tranquillamente un giornale online in meno di 15 minuti, senza grandi pretese, ma ben leggibile. Va detto però che sta imparando ad una velocità sorprendente.

C’è infine un dettaglio. Qualcosa che andrà risolto. AI non ha il gëddu del giornalista di vecchia scuola. In torinese antico gëddu ha sostanzialmente due significati. Il primo, come in questo caso, è immateriale e quindi può essere paragonato al talento, che distingue una persona dalle altre nella professione che svolge. Il secondo si può riferire ad oggetti materiali (tipo un mobile, una casa, un arredo) ed è qualcosa che c’è (un ornamento, un vezzo, uno stile) e che distingue quell’oggetto dagli altri.

Ora spiego ad AI che cosa significa.

Credits

La fotografia è di Cottonbro Studio

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