
La ragione per la quale provavo simpatia per Marco Durante non la so spiegare. A pensarci bene però non avevo una simpatia generica per l’uomo, ma più precisamente per la sua faccia. Lo sguardo di Durante mi pareva da set cinematografico, da giocatore di poker in un film spaghetti western, da cattivo a capo di una multinazionale in una pellicola tratta da un romanzo di John Grisham. Mi piaceva.
Certo, non è che a capo della “Miglior agenzia di stampa in America”, riconoscimento assegnatogli dal Congresso degli Stati Uniti, non possa sentirsi soddisfatto di sedere su un trono così importante. Chi è Durante potete leggerlo per bene qui, dove in sintesi è raccontata la sua storia. Una rapida cavalcata che comincia a Torino, poi va Milano, si allarga in Europa ed entra in partnership con le più grandi agenzie di stampa del mondo. Apre una sede fantascientifica a New York e sfida il più agguerrito regno dei media (carta, televisione, moltissimo web) degli Stati Uniti. E che successo.
Ho incontrato Durante una sola volta, quando ero consigliere dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte. Era stato convocato dal Consiglio per illustrare il suo progetto di chiudere la sede di Torino e trasferirsi a Milano. Un grave danno per la città e per i giornalisti torinesi, che erano stati assunti in agenzia. Ero piuttosto incazzato, come lo sono sempre quando una qualsiasi impresa abbandona Torino. Prima della riunione avevo progettato di metterlo alle corde, di dirgli che bisognava avere più rispetto per chi lavora e non poteva trasferirsi a Milano, e che in sostanza, caro il mio Durante, non è così che si fa.
Io non so come abbia fatto, non ricordo nemmeno bene (sono passati alcuni anni) che cosa abbia detto. Eravamo intorno al tavolo delle riunioni, si era seduto a capotavola, ossservavo quella sua faccia da gangster, o da giocatore d’azzardo con le carte nascoste nella manica della giacca, o da Humphrey Bogart in Casablanca. Insomma, alla fine ci aveva convinti tutti che quel giochetto di andarsene era la soluzione migliore, persino per i suoi giornalisti torinesi. Gli ho dato la mano, gli ho detto grazie e ho pensato che se avessi avuto l’età avrei cercato di farmi assumere per lavorare con lui.
Ora ritrovo Durante per via degli auguri di fine anno alla sua redazione e postati su Linkedin. C’è un passaggio da vero, autentico, perfido padrone delle ferriere. Ed è questo: “Abbiamo fatto tutto questo con una media di meno di 4 persone al giorno per 365 giorni, per malattia”. Pare che abbia anche detto che si può andare a lavorare anche con la febbre alta e che basta una Tachipirina per sentirsi in forma. Chiaro nel 2025?
E’ un vero peccato, Marco Maria Bogart. Poteva ambire ad un Oscar alla carriera. Invece non è altro che una comparsa nella parte del sciur padrun da li beli braghi bianche.
