
Ho scritto il 17 gennaio questo post, in seguito ad una polemica, ripresa qui dalla Fnsi con questo titolo: “La Presse, Marco Durante fa gli auguri di Natale solo ad una parte di redazione”.
Marco Durante, 63 anni a marzo, è il fondatore e presidente de LaPresse, 2.500 lanci di notizie al giorno, 2,5 milioni di fotografie all’anno e 50 mila videonews. Una delle più grandi agenzie stampa del mondo. Da Torino a Milano a Londra a New York con uffici di corrispondenza in ogni angolo del pianeta. Una storia imprenditoriale raccontata qui.
Un paio di giorni dopo il mio post, un comune amico e collega, mi telefona e mi dice: “Durante mi ha chiesto il tuo numero di telefono, posso darglielo?”. Io, che ci vado sempre cauto, gli rispondo: se non mi vuole querelare mi può chiamare quando vuole. Mi arriva un whatsapp: “Se ne avesse piacere potremmo prenderci un caffè insieme, Marco Durante”. Affare fatto, querela scongiurata.
Ci diamo appuntamento nel centro di Torino, in uno storico caffè. Quando arrivo Durante è seduto su un divanetto di velluto rosso in fondo alla sala. Quello che io avevo definito nel mio post “avrebbe potuto essere Humphrey Bogart, in realtà non è che un sciur padrun da li beli braghi bianchi“. Durante è un signore gentilissimo, di buone maniere, affabile. Esattamente la stessa impressione che ne avevo ricavato quando venne in audizione al consiglio dell’Ordine dei giornalisti per spiegare le ragioni del trasloco della redazione da Torino a Milano.
Durante è soprattutto un parlatore, ti guarda dritto negli occhi, non si perde in discorsi inutili, conosce il mondo dell’editoria italiana (e non solo) in ogni dettaglio. Si versa una tazza di tè con grande calma e viene al punto. Molto in breve: Durante lamenta assenze al lavoro per malattia ripetute con un metodo medico che le giustifica e con il risultato di mettere in difficoltà la redazione stessa. Avverte Durante: questa osservazione non nasce da me, ma dai giornalisti medesimi che lavorano nelle nostre sedi.
I punti chiave sono due. Il primo è che mediamente sono assenti dal lavoro, ogni giorno e per tutto l’anno, 4 giornalisti su circa 130 dipendenti, spalmati su tutte le sedi italiane. Il vero inghippo dannoso, ai fini del lavoro, è però un altro. Ognuna delle assenze è giustificata dal medico con un solo giorno di mutua. Per esempio, dice Durante, il lunedì arriva una giustificazione per un dipendente. Il martedì ne arriva un’altra, di un giorno solo, per la stessa persona. Il mercoledì un’altra uguale, sempre per la medesima persona. E così via. Questo incasina, con la media di 4 assenze per malattia al giorno, la programmazione delle coperture di redazione, che nelle agenzie stampa dura 24 ore. E soprattutto impedisce all’azienda d’inviare un controllo medico, che per legge si può richiedere dai due giorni in avanti. Insomma, una furbizia. Lui furbizia non lo dice, ma non è difficile intuire che il giochino è questo. Durante ha affidato agli avvocati il compito di verificare se il comportamento di questi medici è corretto. Dei medici, insiste, non dei giornalisti. E’ lì che nasce il problema.
Quando il caffè e il tè sono finiti non cambio la mia buona impressione su quest’uomo che aveva ereditato dal padre una delle più grandi agenzie fotografiche d’Italia. E che ha scalato il complicatissimo mondo dell’editoria, oggi in grave crisi per non dire in ginocchio, senza calci nel sedere e con intuiti imprenditoriali portando a casa, a più di 30 anni dalla nascita della Presse, risultati in utile. E, come ci tiene a ricordare lui, non licenziando mai nessuno e assumendo sempre.
Mi dice anche che a Natale ha fatto trovare sulla scrivania di ciascun giornalista una borraccia di quelle di moda oggi, con su scritto LaPresse. Mi guarda: una sciocchezza è vero, ma è qualcosa che ti fa sentire parte di questo gruppo.
Sì, è un signore all’antica. Ma in questo mondo editoriale scassato, di giornalisti che non sentono l’appartenenza, di imprenditori impegnati a far quattrini nella finanza e che non investono mai abbastanza per uscire dal guano dove internet li ha cacciati, forse Marco Durante non è un sciur padrun da li beli braghi bianchi.
Chi l’aveva detto? Ah, io. Vabbè.