
Dopo il caso del cronista de La Stampa Andrea Joly, aggredito da una banda di neofascisti di CasaPound, un altro giornalista torinese, il fotografo dell’agenzia Reporters Maurizio Bosio, è finito in ospedale con il setto nasale rotto e 15 giorni di prognosi. Questa volta gli aggressori sono i parenti di una bambina uccisa ad un’auto nel parcheggio di un ospedale.
La cronaca la trovate qui, la bimba apparteneva ad una famiglia Rom e il ministro Salvini qui non ha mancato di dire la sua.
Tuttavia, il punto che m’interessa non è questo. La domanda che mi pongo è: perché? Perché quando c’è di mezzo un giornalista non esiste l’intermediazione del dialogo. Magari acceso, sopra le righe, minaccioso, ma dialogo. E non le botte, non 15 giorni di prognosi. Il caso Joly e quello Bosio sono molto differenti tra loro, ma hanno in comune una violenza cieca, insensata, primitiva. Energumeni che menano perché così dice l’istinto. L’idea che un giornalista s’interessi ad un caso risulta insopportabile. Persino quando il cronista Bosio, posata distante la macchina fotografica, si avvicina ai parenti della bimba per fare le condoglianze. Botte, solo botte. Persino quando Joly fa il suo lavoro di cronista non c’è intermediazione. Calci, pugni, sempre botte.
Entrambi hanno in comune un oggetto: la macchina fotografica e lo smartphone in versione video. I fotografi o i video operatori non sono mai piaciuti. Un conto è riportare una frase, un conto è pubblicare una fotografia. I fotoreporter prendevano calci e spintoni anche 50 anni fa. Quando i giornali non seguivano quello che oggi chiamiamo codice dentologico e pubblicavano immagini che ora sarebbe impensabile farlo. Ma questo in qualche modo fa parte dei rischi del mestiere, ed è persino accettabile.
Quello che è cambiato è il clima generale, che scatena una immediata violenza, senza possibilità di dialogo. Il solo dichiararsi giornalista genera una reazione che, tra persone normali, non ha giustificazioni. Con queste, e forse con altre, è come toccare un nervo scoperto. I giornalisti sono gentaglia che capisce solo le botte. Parlarsi non serve a nulla.
C’è di fondo una profondissima ignoranza sociale, l’influenza nefasta dei social, l’affidare alla brutalità l’unica via di confronto. I leoni da tastiera di qualsiasi strato sociale stanno forse uscendo dalle loro gabbie e si materializzano spaccando la testa ai giornalisti.
Ricordate quando Grillo presentò la lista di proscrizione dei giornalisti, accusati di essere i nemici dei 5Stelle? Beh, non è cominciato da lì. Ma certo quello fu uno dei primi passi che fecero aprire le gabbie degli invasati.
Perciò la questione non va sottovalutata nemmeno archiviata, come spesso accade fino alla prossima aggressione. Dalla politica, dal sindaco nel caso di Torino, dall’ordine pubblico, dalle categorie che rappresentano i giornalisti, dai giornali stessi e dai loro editori. Magari un tavolo comune.
E che gli aggressori vadano condannati. Giustizia, prima di tutto.
Credits
foto copertina di Burak