
Comincio da Repubblica: “La Camera ha detto sì al suo emendamento che vieta di pubblicare l’ordinanza di custodia cautelare, l’atto con cui i giudici formalizzano una misura cautelare, su richiesta dei pubblici ministeri. Lì dentro c’è tutta la storia di arresti, interrogatori, intercettazioni, perquisizioni, i nomi di chi finisce dentro e di chi è solo indagato. È il libro di un caso giudiziario con il racconto dei fatti e delle prove. Finora pubblicabile. D’ora in poi segreto fino al processo. Il bavaglio diventa legge. La cronaca giudiziaria perde la sua “carta” più importante. Le procure diventano mute“.
Brutta storia, mi viene da dire. La norma dovrà essere approvata dal Senato, magari con qualche modifica. Ma nella sostanza rimarrà questa. I giornalisti non potranno più dare conto di quanto sta scritto, nè in parte nè in toto, nell’ordinanza di custodia cautelare. Fine della discussione, la maggioranza di governo brinda. Maggioranza che è figlia di Berlusconi, a cui va questo omaggio postumo. I giornalisti che violano la norma saranno sanzionati e andranno in carcere? Per ora non si sa.
La Fnsi insorge: “Giovedì 28 dicembre la Federazione nazionale della Stampa non parteciperà alla conferenza stampa di fine anno della premier, espressione di una maggioranza che vuole stringere il bavaglio intorno all’informazione“. E poi una chiamata alla mobilitazione dei giornalisti italiani per arrivare “allo sciopero generale contro la censura di Stato e per rivendicare l’identità e la dignità della nostra professione“.
La maggior parte dell’informazione in questi giorni titola “legge bavaglio”, eccetto la stampa di destra, d’altra parte sarebbe curioso che Sallusti si sentisse imprigionato da questa norma.
Tuttavia, c’è una eccezione rilevante a sinistra. E’ il manifesto, che in un taglio basso di oggi in prima, introduce il concetto di legge bavaglino. Scrive il manifesto: “Già leggiamo un considerevole numero di righe di preoccupati allarmi sul futuro della libertà di stampa. Addirittura il sindacato dei giornalisti annuncia una dura mobilitazione “in difesa della dignità della professione”, già messa a dura prova da situazioni come l’incredibile caso di sostituzione di persona reso pubblico ieri da Repubblica, laddove abbiamo appreso che il silenzio assenso è uno strumento dell’inchiesta giornalistica”.
Ma davvero l’informazione è minacciata dalla legge bavaglino? Il manifesto risponde: “L’uso che si fa degli atti giudiziari è spesso terrificante, e non di rado le cronache giudiziarie vengono riempite con nomi di persone che alla fine non risultano innocenti, ma proprio estranee ai fatti. L’ultimo esempio, in questo senso, è la campagna che alcuni giornali di destra stanno portando avanti sui finanziamenti a Mediterranea, con sovrabbondante pubblicazione di atti dallo scarso o nullo valore penale al solo scopo di gettare fango sulle Ong che salvano i migranti in mare. Un’altra triste consuetudine giornalistica consiste nell’appiattire le cronache sulle tesi degli investigatori. Si è letto che con l’emendamento Costa saremmo stati meno informati ad esempio sull’inchiesta Mondo di mezzo. Forse è vero, ma non possiamo dimenticare che in questo caso parliamo di un’indagine naufragata, cioè cominciata con pesanti accuse di mafia e finita con una sentenza che escludeva quel reato. C’è anche chi si lamenta del fatto che, senza poter citare un atto, il cronista potrebbe fraintendere la notizia e darla male. Su quest’ultimo punto, in effetti, il giornalismo si gioca la faccia. E vale la pena ricordare lo Sciascia di Una storia semplice: «L’italiano non è l’italiano. È il ragionare».
Forse un po’ di gossip scandalistico in meno. Giancarlo Politi
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