giorgio levi

Quale fu il comportamento dei giornalisti americani durante il nazismo? Lo rivela “Berlin, 1933” appena pubblicato negli Usa

(La foto è del New Yorker)

Il New Yorker di oggi torna a parlare di giornalisti. Questa volta il tema è il nazismo e come i reporter americani affrontarono il regime di Hitler.

Capirono che cosa stava accadendo? Furono convincenti? I lettori americani si fecero un’idea precisa della follia tedesca? Il saggio s’intitola “Berlin, 1993” e l’ha scritto il critico Daniel Schneidermann, francese e fondatore di Arrêt sur Images. Il pezzo sul New Yorker di Elisabeth Zerofsky, che vive a Berlino,  è molto dettagliato e tratta, in parallelo, il modello Usa di opposizione mediatica a Trump.

Riporto qui soltanto il caso di Edgar Ansel Mowrer, il giornalista più ammirato dall’autore, corrispondente del Chicago Daily News che era già stato a Berlino per un decennio quando Hitler divenne cancelliere della Germania, nel gennaio del 1933. Il lavoro di Mowrer centra perfettamente la diffusa violenza antisemita, fin dagli anni che precedettero l’ascesa di Hitler. Nelle corrispondenze c’è tutto. Gli ebrei aggrediti in pubblico, gli studenti ebrei picchiati dai compagni di classe. E le milizie armate che seminavano violenza nelle strade di Berlino. Le centinaia di persone uccise durante la campagna elettorale del 1932. Mowrer pubblicò un libro su tutto quanto aveva raccolto e raccontato. Appena Hitler andò al potere, dopo pochi giorni fu espulso dalla Germania.

Poi non mancano le critiche e la sottovalutazione anche dei grandi quotidiani americani. Come il New York Times che riportò la strage di Vilnius, in cui furono trucidati 60 mila ebrei, a pagina 7 del giornale.

All’autrice dell’articolo  Elisabeth Zerofsky, Schneidermann dice: “Il problema era che non c’erano giornalisti abbastanza credibili  per raccontare quello che stava realmente accadendo in Germania, senza essere sospettati di essere di parte o di essere schierati”.

Insomma, afferma Schneidermann nessun paragone è proponibile oggi con Trump, accusato di regime: “Penso che ciò che conta nel giornalismo per essere credibili sia ancora  e sempre l’essenza della professione, ovvero la verifica dei fatti”.

Credits

The New Yorker